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Aiutami, se no divento pazzo |
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Fabio Toscano, Lettera Matematica Pristem, 01.12.2004 |
matematica.uni-bocconi.it/ |
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Così scriveva Einstein al suo amico Marcel Grossmann, nell’agosto del 1912. Cercava un calcolo per la sua
relatività. È allora che scoprì Gregorio Ricci Curbastro e il suo calcolo tensoriale. |
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“[A Padova] incontrai anche Gregorio
Ricci Curbastro, il padre della teoria
dei tensori. Discendente da una antica
famiglia di Ravenna, sembrava un
gentiluomo di campagna. Fu un privilegio
incontrare quest’uomo la cui opera
aveva dato nuovo vigore sia alla
Geometria sia alla Fisica matematica”.
Così, il matematico olandese Dirk Jan
Struik amò ricordare uno degli episodi
più significativi del suo soggiorno italiano
d’inizio anni Venti. Benché poco
noto al di fuori della cerchia degli addetti
ai lavori, il personaggio menzionato
da Struik occupa realmente un
posto di primo piano nella storia della
scienza moderna.
Fu proprio Ricci
Curbastro a creare il calcolo differenziale
assoluto – ribattezzato poi calcolo
tensoriale – potente
e raffinato
sistema di algoritmi
che oggi è
onnipresente
ed essenziale
nei più avanzati
settori
della Geometria
e della
Fisica teorica.
Senza il
calcolo di
Ricci, in
particolare,
quasi sicuramente Albert Einstein non
sarebbe mai stato in grado di pervenire
alla formulazione della sua opera più
grandiosa: la Teoria della relatività generale,
pilastro fondamentale della Fisica
contemporanea, che sorregge i
più accreditati modelli riguardanti la
struttura dell’universo a grande scala
e la sua evoluzione.
Gregorio Ricci Curbastro nacque a
Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna,
il 12 gennaio 1853. Tra le più
antiche e nobili famiglie di Lugo, i Ricci
Curbastro erano per tradizione
profondamente cattolici. L’intensa fede
religiosa fu un elemento fortemente
caratterizzante tutta la vita dello
stesso Gregorio.
Compiuti privatamente sia gli studi
elementari che quelli superiori classici,
nel 1869 Ricci si iscrisse al corso filosofico-
matematico dell’allora Pontificia
Università della Sapienza a Roma.
Nel 1872 passò all’Università di Bologna;
attratto dalla fama della Scuola
Normale Superiore di Pisa, vi entrò
per concorso nel novembre dell’anno
successivo.
Alla Normale, il giovane romagnolo
ebbe tra i suoi maestri due dei più
eminenti matematici dell’epoca: Enrico
Betti, per i corsi di Fisica matematica
e Astronomia e Meccanica celeste,
e Ulisse Dini (per il corso di Analisi
e Geometria superiore). Dopo la 44
laurea in Scienze fisiche e matematiche,
conseguita con lode nel 1875,
Gregorio ottenne una borsa di studio
e rimase ancora per un anno a seguire
i corsi di perfezionamento di Betti
e Dini. Particolarmente importante per
la sua formazione fu in questa fase
l’influenza di Betti, tramite il quale
egli familiarizzò con le teorie fisiche allora
d’avanguardia e acquisì l’interesse
per una Matematica formalmente
rigorosa ma nel contempo ca-pace
di analizzare il fenomeno fisico.
Le sue prime Memorie, risalenti al
1877, gli furono “commissionate” proprio
da Betti che aveva affidato al brillante
allievo il compito di riassumere
alcune sue dissertazioni sulle recenti
leggi dell’Elettromagnetismo di
Maxwell. Queste prime Memorie, pur
non presentando elementi originali,
mostrano una sicura padronanza degli
argomenti svolti e un chiaro interesse
di Ricci Curbastro per la Fisica,
in particolare per i suoi metodi matematici.
Nel 1878, dopo aver vinto un concorso
per un corso di perfezionamento
all’estero, Ricci si recò a Monaco di Baviera
dove, per l’anno accademico
1878-79, ebbe modo di frequentare i
celebri corsi di Felix Klein (giovane
ma già assai autorevole studioso di
Geometria).
Terminata la stimolante esperienza tedesca,
Gregorio tornò a Pisa dove per
qualche tempo ricoprì il ruolo di assistente
straordinario alla cattedra di
Calcolo, di cui Dini era titolare. Nel
1880 arrivò, a seguito di concorso, la
nomina a professore straordinario di
Fisica matematica presso l’Università
di Padova. Gli studi e gli impegni accademici
non gli impedirono comunque
di partecipare attivamente, fin da
quegli anni, alla vita amministrativa di
Lugo. Di fatto, mantenne sempre un
forte legame con la sua città natale, ricoprendo
in ripetute occasioni le cariche
di consigliere comunale e pro-
– schieramenti cattolici – che interpretò
come occasione per un reale impegno
pratico legato soprattutto a progetti
di Ingegneria idraulica.
Il 1884 fu un anno molto importante
per Gregorio. Anzitutto sul piano affettivo,
in quanto si unì in matrimonio
con l’amatissima Bianca Bianchi Azzarani
(signorina di distinta famiglia
imolese, dalla quale ebbe in seguito tre
figli: Livia, Cesare e Giorgio). Sul versante
scientifico, poi, fu proprio il 1884
l’anno in cui Ricci – prendendo le mosse
da una pregiata tradizione di ricerche
geometriche facente capo, tra
gli altri, a nomi del calibro di Gauss,
Riemann, Lamé, Beltrami, Christoffel
e Lipschitz – diede avvio alla graduale
elaborazione del calcolo differen-ziale
assoluto. Con la Memoria Principi
di una teoria delle forme differenziali
quadratiche, Ricci iniziò ad affrontare
uno studio sistematico di questo
notevole capitolo della Matemati-ca
dell’epoca, motivando le sue ricerche
dall’osservazione che, a suo parere,
in Geometria si usavano allora
metodi indiretti e artificiosi, che spesso
conferivano ai risultati ottenuti –
sebbene molto utili – una struttura poco
organica. In aggiunta – sosteneva
Ricci – diversi studi (riconducibili ora
alla Geometria, ora all’Analisi, ora alla
Fisica) mostravano evidenti connessioni,
dovute proprio alle cosiddette
forme differenziali quadratiche.
Scopo dello studio era dunque quello
di esaminare a fondo la natura di tali
espressioni matematiche al fine di mettere ordine fra le varie teorie della
Geometria, dell’Analisi e della Fisica,
riducendole in via unitaria.
Questi temi vennero approfonditi e
sviluppati due anni dopo, con l’articolo
Sui parametri e gli invarianti delle
forme quadratiche differenziali in cui
Ricci generalizzava i risultati di ricerche
condotte quasi vent’anni prima
dal grande matematico cremonese Eugenio
Beltrami.
Una tappa cruciale nel cammino scientifico
di Ricci è rappresentata dall’articolo
Sulla derivazione covariante ad
una forma quadratica differenziale,
del 1887, in cui il matematico lughe-se
presentò in maniera esplicita quel45
l’algoritmo - chiamato derivata covariante
- che ben presto si rivelò il per-no
fondamentale del suo calcolo. Attraverso
tale algoritmo, in una Memoria
dell’anno successivo Ricci fu in
grado di mettere a punto il suo metodo
introducendo il concetto di tensore.
In breve, un tensore è un insieme
di funzioni le quali, al variare delle
coordinate, si trasformano secondo
leggi ben definite. Il punto essenziale
è che, grazie a queste leggi, se due
tensori sono uguali in un dato sistema
di coordinate, in un qualsiasi altro sistema
di coordinate si trasformeranno
continuando però a essere uguali
tra loro. Quelle fra tensori sono allora
equazioni formalmente invarianti (o,
altrimenti detto, covarianti).
D’altra parte – come lo stesso Ricci
ebbe a sottolineare – le leggi della Geometria
e della Fisica dovrebbero per
loro natura avere un carattere di indipendenza
dalla scelta delle coordinate,
messo in ombra dalle notazioni
che i matematici di allora comunemente
usavano. Tale carattere viene
garantito esprimendo le equazioni della
Geometria e della Fisica proprio
tramite i tensori (in Fisica, per esempio,
possono essere poste in forma
tensoriale grandezze come forza, spostamento,
flusso di calore e molte altre
ancora). L’invarianza delle equazioni
tensoriali può consentire così di
scegliere le variabili (coordinate) nei
modi più opportuni, per semplificare
i calcoli e per una generalizzazione
immediata a spazi geometrici di dimensione
arbitraria e di natura qualsiasi
(varietà riemanniane).
Il mezzo per assicurare l’invarianza
delle relazioni tra tensori è l’algoritmo
della derivata covariante. Una tale
nozione era già comparsa, per la prima
volta, nel 1869 nell’opera del matematico
tedesco Elwin Bruno Christoffel,
il quale tuttavia non ne aveva
colto la potenza e la ricchezza concettuale.
La derivata covariante - come
strumento per garantire l’invarianza
delle relazioni tensoriali e, quindi, delle
leggi della Geometria e della Fisica
- è dunque, a tutti gli effetti, un’“invenzione”
di Gregorio Ricci Curbastro.
I risultati conseguiti convinsero Ricci
a partecipare al Premio Reale per la
Matematica (il massimo riconoscimento
al quale potesse ambire un matematico
italiano dell’epoca) bandito
dall’Accademia dei Lincei per il 1887.
Purtroppo il Premio non fu conferito né
a lui né ad alcuno degli altri partecipanti. Beltrami, in qualità di relatore
della Commissione lincea, nel negare
il prestigioso riconoscimento a Ricci si
espresse comunque in termini prudenti
e in verità piuttosto incoraggianti:
“ci sembra che i lavori del Prof.
Ricci, piuttosto che una somma di ultimi
risultati definitivamente acquisiti
ed immediatamente utilizzabili, rappresentino
un poderoso sforzo di elaborazione
preparatoria, sforzo che in
parte apparisce già conducente ad una
meta onorevole, in parte aspetta la
sua giustificazione finale da ulteriori cimenti, nei il primitivo e assai
complesso apparato analitico potrà
essere definitivamente surrogato da
più semplici algoritmi esecutivi”.
Spronato dall’autorevole giudizio di
Beltrami, Ricci inaugurò una nuova
fase del suo lavoro, impegnandosi su
due fronti: in primo luogo, affinò il
proprio metodo (cui diede il nome di
calcolo differenziale assoluto nel
1893) conferendo alle notazioni una
forma più semplice; nel contempo, si
preoccupò di quelle applicazioni, già
intraviste, a vari problemi di Fisica e
specialmente di Geometria. Dopo essere
stato per ben dieci anni professore
straordinario, Ricci aveva potuto
finalmente accedere (nel dicembre del
1890) alla cattedra di Algebra complementare
dell’Università di Padova,
conservando comunque anche il vecchio
corso di Fisica matematica.
A Padova, il principale collaboratore di
Ricci Curbastro fu un suo allievo che
in seguito si sarebbe rivelato uno dei
più versatili e geniali matematici della
sua epoca: Tullio Levi-Civita. Laureatosi
nel 1894 proprio sotto la guida
di Ricci e ottenuta, ad appena ventitré
anni, la cattedra di Meccanica razionale
a Padova, sua città natale, Levi-
Civita iniziò un periodo di fruttuosa
collaborazione con il Maestro, specializzandosi
nelle applicazioni del calcolo
differenziale assoluto alla Fisica
matematica.
Nell’articolo Sulle trasformazioni delle
equazioni dinamiche del 1896, il
giovane matematico patavino saggiò
efficacemente la potenza del calcolo
di Ricci nella trattazione di un importante
problema di Meccanica analitica
di fronte al quale, fino a quel momento,
gli strumenti classici di indagine
erano risultati insufficienti. Tre
anni dopo, con la memoria Tipi di potenziali
che si possono far dipendere
da due sole coordinate, Levi-Civita forniva
un’altra notevole dimostrazione
della fecondità del calcolo differenziae
assoluto, pervenendo alla completa
soluzione di un problema che nemmeno
Riemann e Volterra erano riusciti
a esaurire.
Frattanto, i tempi erano maturi per
soddisfare la richiesta, che da qualche
anno Felix Klein aveva inoltrato a Ricci,
di preparare un articolo da pubblicare
sulla prestigiosa rivista Mathematische Annalen (di cui Klein era allora
il direttore). Klein chiedeva un
trattato sintetico ma completo sul calcolo
differenziale assoluto, ove vi fosse
anche un’ampia parte dedicata a
mostrare in quali campi tale metodo risultasse
particolarmente efficace e
vantaggioso, per consentire alla comunità
dei matematici, specialmente
fuori dall’Italia, la conoscenza e la familiarità
con i nuovi algoritmi. Di fatto,
a quel tempo, il calcolo tensoriale
era ancora uno strumento in mano al
maestro e a pochi allievi. La celebre
Memoria riassuntiva Méthodes de Calcul
différentiel absolu et leurs applications
fu pubblicata nel 1900, firmata
naturalmente da Ricci ma anche da
Levi-Civita.
All’inizio del Novecento, la posizione
di Ricci era quella di un matematico ancora
sostanzialmente isolato nelle sue
ricerche, anche a causa del suo temperamento
riservato e ritroso. Era comunque
al centro di grande considerazione
nell’ambiente accademico patavino
ed era anche molto apprezzato
come docente. In questa veste, così lo
ricordò Levi-Civita: “le lezioni orali del
Ricci non erano vivaci, ma mirabili per
precisione e castigata fluidità di forma:
chi le avesse stenografate, nulla avrebbe
trovato da cambiare nel trascriverle.
Chi seguiva con attenzione coglieva
il nocciolo delle questioni, sempre prospettate
con grande generalità, pur
prescindendo da ogni evitabile sottigliezza,
e sentiva il vigore di quel lucido
intelletto”. Il matematico Angelo
Tonolo, anch’egli allievo di Ricci, descrisse
il Maestro con queste parole:
“alta e diritta era la Sua figura, signorile
l’aspetto che ben rivelava la nobiltà
della stirpe; la severità del volto, illuminato
dagli occhi intelligenti e dolci,
era mitigata talvolta da un affabile sorriso.
La persona sempre composta in
un pensoso raccoglimento, il gesto sobrio,
la parola meditata e calma, gli
conferivano una personalità staccata e
assente. Ma chi per consuetudine di
amichevoli rapporti avesse scrutato oltre
quel velo di fredda impassibilità,
avrebbe trovato una viva, umana sensibilità,
una finezza di sentimenti, un
culto tenerissimo degli affetti familiari,
un’affettuosa amicizia. Uomo di altissima
rettitudine, di profonda dignità
personale, ebbe una calma esistenza,
rettilinea senza inflessioni e senza compromessi”.
Con i Méthodes, Ricci Curbastro aveva
toccato il vertice della sua produzione
scientifica. Il calcolo differenziale
assoluto, spogliato del “primitivo
e assai complesso apparato analitico”
rimproveratogli anni prima da
Beltrami, aveva ormai trovato una definitiva
sistemazione come algoritmo
e, nel contempo, aveva rivelato svariate
potenzialità applicative. Fu così
che Ricci, all’apice della carriera, decise
di partecipare una seconda volta
al Premio Reale per la Matematica
messo a concorso per il 1901 dall’Academia
dei Lincei. Il desiderio di ottenere
il premio, cui evidentemente
Ricci teneva molto, fu forse l’unico
peccato di vanità di un personaggio così
schivo e ritroso; d’altronde, insieme
ai Méthodes, il Premio Reale poteva
costituire una preziosa occasione per
far conoscere a un più vasto pubblico
l’opera matematica di un uomo che - riferisce
Levi-Civita - “era rimasto in
precedenza ignoto ai più, anche pel
suo carattere riservato e alieno, nonché
dal largo, altresì dalle forme
intensive di comunicazione scientifica,
che si accompagnano alla vita moderna,
quali frequenti viaggi e contatti
personali; intervento a congressi;
conferenze; distribuzioni relativamente
larghe di lavori; pubblicazione
di note preventive e di riassunti”.
Tuttavia, fu chiaro ben presto che i
Méthodes non avevano suscitato - né
in Italia né all’estero - la concreta attenzione
auspicata dagli autori e nel
1904, allorquando la Commissione
lincea per il Premio Reale ebbe completato
l’esame dei lavori in concorso,
Ricci dovette subire la delusione più
cocente della sua carriera. Ancora una
volta si vide negare l’ambìto premio
che, anche in questa circostanza, non
venne assegnato ad alcuno dei partecipanti.
Relatore della commissione
era Luigi Bianchi, allora considerato
il massimo esponente italiano della
Geometria differenziale, disciplina nella
quale Ricci aveva maggiormente
applicato i suoi metodi. Così si espresse
Bianchi al termine della sua relazione:
“A meritare il premio reale [occorre]
almeno un lavoro di un valore
veramente eccezionale (…) gli algoritmi
da [Ricci] sviluppati (…) si dimostrano
certamente utili, sebbene
non indispensabili, nel trattare varie
questioni matematiche; e di ciò troviamo
le prove nei lavori stessi del
Ricci e in quelli di alcuni pochi seguaci.
Ma considerando, nei lavori
presentati, i risultati veramente nuovi
acquisiti alla scienza [essi] non ci sono
apparsi di tale e tanta importanza
da meritare l’altissima distinzione”.
Il giudizio della Commissione lincea
sull’opera di Ricci veniva motivato dal
fatto che le applicazioni del calcolo
differenziale assoluto proposte dal ma
tematico di Lugo avevano portato solo
in misura parziale a “risultati veramente
nuovi”. Inoltre, il metodo appariva
troppo spesso una non necessaria
complicazione per risolvere problemi
affrontabili con le usuali e più
immediate procedure analitiche.
In effetti, nell’applicare i suoi algoritmi
alla Geometria differenziale, Ricci
aveva ricavato risultati per lo più già
noti, sebbene in forma molto più generale
ed elegante. Nel complesso,
poi, le applicazioni del calcolo tensoriale
– benché talora notevoli (specialmente
quelle fisico-matematiche
di Levi-Civita) – erano senza dubbio
ancora piuttosto lontane dal costituire
un ampio corpus organico di ricerche
originali.
Sta di fatto che nessun grande matematico
di inizio Novecento si cimentò
con i metodi innovativi di Ricci. Per la
verità, il calcolo creato dallo studioso
romagnolo era comunemente considerato
tutt’altro che privo di interesse.
La questione di fondo, semmai, è
che all’epoca non erano ancora noti
problemi in cui un approccio così impegnativo
fosse rigorosamente e intrinsecamente
indispensabile. In ogni
modo, la vicenda del Premio Reale e,
in generale, la contrastata accoglienza
del suo lavoro certamente amareggiarono
Ricci, il quale tuttavia - riferisce
Levi-Civita – “mai […] ebbe a
muoverne lagno, ma conservò immutato
il convincimento (allora poco più
che solitario) di avere effettivamente
dotata la Matematica di un fecondo
campo di dottrine”.
Dopo il 1904,
il piccolo gruppo di ricerca
sull’analisi tensoriale, coagulatosi
a Padova intorno a Ricci, si disciolse.
Lo stesso Levi-Civita spostò
decisamente il baricentro dei propri
interessi, dedicandosi in particolare
ad alcune importanti questioni di Meccanica
celeste e per diversi anni non
si occupò più di calcolo differenziale
assoluto. Non è superfluo ricordare,
tuttavia, che Levi-Civita si aggiudicò
trionfalmente quel Premio Reale per la
Matematica (edizione 1907) sfuggito
per ben due volte al Maestro e questo
anche in virtù delle sue applicazioni
del calcolo tensoriale in Fisica matematica,
applicazioni che dunque trovarono
una ricezione più favorevole rispetto
a quelle fornite da Ricci Curbastro
in ambito geometrico.
Ricci continuò a pubblicare alcune Memorie
sul calcolo differenziale assoluto,
di portata speculativa comunque
inferiore in confronto ai lavori delle
sue stagioni migliori. Rimaneva però
certamente un personaggio assai stimato
come docente e come uomo pubblico.
Fu infatti Preside del Consiglio
di Facoltà a Padova, dal 1900-01 al
1907-08 e membro del Senato Accademico.
E, dopo Lugo, anche la città
veneta lo vide consigliere comunale,
sempre eletto nelle formazioni cattoliche,
assessore alla Pubblica Istruzione
e alle Finanze. Venne ripetutamente
pregato di ricoprire la carica di
sindaco, mai accettata per il timore di
non poter conciliare impegno pubblico
e ricerca scientifica. Nel 1914, poi,
fu scomparsa della moglie, sopraggiunta
a causa di un male incurabile. Ma,
intanto, il clamoroso epilogo della sua
vicenda umana e scientifica era ormai
alle porte.
Fin dalla seconda metà del 1912, Albert
Einstein aveva iniziato a servirsi
degli algoritmi di Ricci. Servivano
per formulare matematicamente la
sua teoria della Relatività generale
che avrebbe dovuto fondere all’interno
di un’unica cornice concettuale le
nozioni di spazio, tempo, inerzia e
gravitazione. In precedenza, nel perseguire
il suo obiettivo, il grande fisico
tedesco aveva trovato ostacoli insormontabili
per non essere in possesso
di uno strumento matematico
adeguato. Celebre è la frase con la
quale, nell’agosto del 1912, un Einstein
in grave difficoltà si rivolse all’amico
matematico Marcel Grossmann,
suo antico compagno di studi:
“Grossmann, aiutami se no divento
pazzo!”. E Grossmann lo aiutò nel
migliore dei modi, suggerendogli proprio
il calcolo tensoriale di Ricci, di cui
Einstein si impadronì – grazie anche
al prezioso ausilio di Grossmann – facendone
lo strumento principe della
sua teoria.
A livello tecnico, il problema basilare
della Relatività generale era quello di
formulare le equazioni della nuova
teoria in modo che fossero invarianti
per arbitrarie trasformazioni di coordinate.
Il calcolo di Ricci, totalmente
indispensabile per tale scopo, consentiva
la “naturale” traduzione matematica
delle ipotesi fisiche di Einstein.
Un ruolo di primo piano nella
costruzione della teoria lo giocò Levi-Civita,
il quale – nel corso di un’appassionante
corrispondenza risalente
alla primavera del 1915 – collaborò direttamente
con Einstein nel trarre alcune
rilevanti conseguenze del calcolo
differenziale assoluto.
Quando, nel 1919, uno degli effetti
previsti dalla nuova teoria - ossia la
deviazione dei raggi luminosi delle
stelle da parte del Sole - fu verificato
sperimentalmente, Einstein divenne
una celebrità mondiale. Con l’esplodere
della Relatività, giunsero finalmente
anche per Gregorio Ricci Curbastro,
tutti i meritati riconoscimenti.
Molte accademie si affrettarono ad accoglierlo
nel loro seno. Si sprecarono
le onorificenze e il calcolo differenziale
assoluto divenne oggetto di centinaia
di trattati e articoli, costituendo
lo strumento di base per importantissimi
nuovi sviluppi in molti settori della
Matematica e della Fisica.
Per Gregorio, il tributo più gradito
venne proprio dallo stesso Einstein.
Giunto in Italia nell’ottobre del 1921
per un ciclo di conferenze sulla Relatività,
manifestò il desiderio di conoscere personalmente Ricci Curbastro.
L’incontro ebbe luogo il 27 ottobre
1921: quel giorno, il fisico tedesco tenne
una conferenza nell’affollatissima
Aula magna dell’Università di Padova.
Fu proprio Ricci a introdurre Einstein
che, parlando in italiano, espresse il
suo più vivo compiacimento nel presentare
la sua teoria nella città in cui
insegnava l’artefice del calcolo differenziale
assoluto.
Resta da aggiungere che, quando la
Teoria della relatività generale gli diede
la possibilità di rivalersi su una comunità
scientifica che in precedenza
non aveva apprezzato adeguatamente
le sue tecniche, Ricci non ne approfittò
affatto. Pur diventato un matematico
conosciuto e ammirato in
tutto il mondo, si mantenne in disparte,
perseverando nella riservatezza
di tutta una vita e contemplando con olimpico distacco la notorietà
che improvvisamente gli era piovuta
addosso a causa del clamore suscitato
dalla nuova teoria einsteiniana.
Gregorio Ricci Curbastro morì a Bologna
il 6 Agosto 1925, a seguito di un
improvviso attacco di angina pectoris.
Scrive Levi-Civita: “raccomandò
funerali senza pompa, disponendo che
la tomba di famiglia nel cimitero di Lugo
rechi a ricordo di sé una semplice
lapide con professione ardente di fede
cattolica, l’intera sua vita essendo
riassunta nella notizia: Fu per
anni professore di Matematica
all’Università di Padova.
Esempio edificante di modestia in un
uomo che pur ebbe giusta coscienza di
aver legato perennemente il suo nome
al calcolo differenziale assoluto e alle
sue applicazioni grandiose!”.
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