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E il seminarista cantò Bella ciao
Paolo Di Stefano, Corriere della sera, 23.04.2013

Si potrebbe ricordare il 25 aprile leggendo un romanzo rimasto finora inedito di Luisito Bianchi, intitolato Il seminarista (e appena uscito da Sironi). Don Luisito è morto l'anno scorso nel monastero di Viboldone, dove era cappellano da molto tempo: prete dal 1950, insegnante, operaio turnista alla Montedison, benzinaio, inserviente d'ospedale, infermiere. Autore di un capolavoro come La messa dell'uomo disarmato, romanzo-fiume che racconta la tensione giovanile del protagonista tra l'affiato spirituale e la necessità di partecipare alla Resistenza: tenendo ben presente che Resistenza è un concetto di impegno e responsabilità che non si esaurisce con la fine della guerra civile, ma che per Bianchi prosegue nella vita legandosi all'idea di gratuità. «Parlo di Dio solo gratuitamente», rispose al vescovo che gli chiedeva di insegnare religione nelle scuole. Si rifiutava di ritirare lo stipendio, perché riteneva che ci fossero atti che non potevano prevedere una ricompensa.

Il seminarista è un romanzo di formazione intima e politica ambientato nella campagna lombarda, tra Cremona e Pavia al tempo della guerra: vediamo crescere il bambino «che aveva ancora bisogno d`essere pettinato e ispezionato nelle orecchie e attorno al collo ogni mattina», poi il ragazzo, infine il giovane ormai avviato verso il sacerdozio pur temendo di aver perduto la vocazione. Sarà l'amicizia con il biondino, un altro seminarista, a fargli aprire gli occhi sull'antifascismo: Umiliati e offesi, ricevuto in dono dall'amico, diventerà il suo livre de chevet.

In seminario si trovano più filo-angloamericani che ragazzi fascisti: se passeggiano in città, sputano per terra ogni volta che vedono una camicia nera. E quando il rettore annuncia loro che il giorno dopo arriverà un camion di fascisti a sequestrare cento materassi di crine, cento cuscini, cento federe e duecento lenzuola, si scatena la ribellione, mentre filtrano le prime notizie della resistenza partigiana sulle colline. Il biondino raggiunge in bicicletta i partigiani lasciando l'amico al suo «destino» e alla sua vocazione: non sarebbe più tornato in seminario e si sarebbe innamorato come il Milton di Fenoglio. Il giovane è combattuto tra la causa partigiana e la vocazione traballante: si vergogna di essere rimasto in seminario, ma non abbastanza per lasciarlo. Sogna la Resistenza e invidia il coraggio del biondino.

Il romanzo diventa la storia di un caso di coscienza. Intorno, tuonano le fortezze volanti, le riserve scarseggiano, i venditori di ceci e di lupini fuggono in collina, i tedeschi si ubriacano nelle osterie. Il 25 aprile il giovane afferra una rivoltella nascosta nel pianoforte di casa e decide di non aver paura, attraversa i portici del paese e quando assiste alla morte cruenta di un ex compagno di scuola vittima della raffica di un gruppo di tedeschi, si sfila la tunica di seminarista, fa per sparare, ma cadrà accanto al compagno. Eroe di un solo giorno, l'ultimo.

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