«Quando Gesù si è fatto uccidere in croce non l'ha fatto in cambio di uno stipendio» diceva spesso, con voce flebile ma ferma, don Luisito Bianchi, cappellano di Viboldone, prete scomodo, scrittore, morto giovedì scorso a Melegnano (Milano). Aveva 84 anni. Era un prete che predicava bene - la gratuità come essenza del vivere cristiano - e razzolava bene, tant'è che ha sempre rifiutato lo stipendio "da prete". La Chiesa istituzione lo ha sopportato: con una smorfia di disprezzo, ignorandolo. Non c'erano mai preti, o se c'erano, erano preti isolati come lui, quando presentava i suoi libri. Quando diceva «se fossi Papa brucerei il Vaticano, affinché rifulga la luce di Cristo. E donerei ai poveri, a chi soffre, agli zingari, ai perseguitati», la Chiesa istituzione faceva finta di niente. Ordinato sacerdote nel 1950, negli anni Sessanta, dopo un'esperienza romana alla Pastorale del lavoro, si domanda: "Cosa ho imparato? Io, veramente, che so del lavoro?". A trent'anni decide così di andare a lavorare in fabbrica, alla Montecatini di Spinetta mite e timido, rifuggiva telecamere e notorietà. La sua vita da prete l'ha vissuta ascoltando gli insegnamenti del Vangelo. Marengo (Alessandria), esperienza che racconterà in alcuni suoi libri e che lo segnerà per sempre: rifiuterà infatti l'etichetta di prete operaio. In fabbrica, spiegherà don Luisito, un prete non serve, perché le virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, sono già parte del lavoro duro, da operaio. Se un intellettuale si sente a corto di argomenti, dirà anche, vada in fabbrica: lì, il terreno è fertile. Nel 2003, don Luisito diventa noto nell'ambiente editoriale. La piccola casa editrice Sironi pubblica La messa dell'uomo disarmato ed è subito un successo: di vendite e critiche. Tanti gridano al capolavoro. Un libro sulla resistenza, ma anche sulla gratuità: dei partigiani che morirono per un'idea, per la libertà, solo per quella. I proventi del libro, comunque, don Luisito li dona ai missionari: a lui, che vive tra Vescovato, suo paese natale, e Viboldone, dove è cappellano, bastano 600 curo di pensione, frutto dei contributi versati come operaio, inserviente, benzinaio, insegnante. Era un mite, ma insieme all'amore per il prossimo insegnava la ribellione. "Uno schiavo ai tempi di Gesù - ha scritto don Luisito - veniva colpito al volto dal suo padrone con il dorso della mano, perché quest'ultimo non avesse a sporcarsi le mani. La guancia colpita era dunque la guancia destra. Porgere l'altra guancia, cioè la sinistra, a quel tempo significava costringere il padrone a colpire col palmo della mano e, quindi, a sporcarsi le mani, cosa che un padrone non avrebbe mai fatto. Quindi il voltare il viso dall'altra parte per porgere la guancia opposta era un modo per impedire al padrone di colpire ancora, era un modo per interrompere il sistema, per costringere il potente a fermarsi". Sussurrava, ma aveva una grande voce, don Luisito Bianchi... |