Con la scomparsa di don Luisito Bianchi, avvenuta il 5 gennaio, abbiamo perso non solo uno scrittore, uno dei più originali degli ultimi decenni, ma anche il testimone scomodo di un radicalismo evangelico profetico e mai accomodante. Nella sua vita Luisito Bianchi ha fatto l'insegnante, il traduttore, l'operaio, il benzinaio, l'inserviente in ospedale. Nato a Vescovato, in provincia di Cremona, nel 1927, sacerdote cattolico dal 1950, il grande pubblico l'ha conosciuto a partire dal 2003, quando Sironi editore ripubblicò La messa dell'uomo disarmato, un ampio, suggestivo romanzo sulla Resistenza, uscito per la prima volta nel 1989 in un'edizione autoprodotta. Di quel periodo, l'autore non offriva soltanto una lettura storiografica. C'era una dimensione filosofica e religiosa (una religione civile, oltre che trascendente) che faceva della Resistenza una categoria quasi esistenziale. Nel 2005 sempre Sironi manda in libreria una nuova edizione di un suo libro del 1972, dal titolo Come un atomo sulla bilancia, il racconto, alternato alla riflessione, dell'esperienza vissuta da don Luisito, a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, come prete operaio. In occasione dell'uscita di quel libro, lo incontrai presso l'abbazia trecentesca di Viboldone (una manciata di chilometri da Milano), dove da alcuni anni prestava la funzione di cappellano presso la comunità delle suore benedettine. Parlammo della sua vita, del suo amore per la scrittura, della sua idea di Chiesa. Parlava lentamente, a voce bassa, di tanto in tanto socchiudendo gli occhi. Ma le sue parole erano molto precise. Don Luisito non risparmiava le critiche ai modi con cui l'istituzione ecclesiastica ha organizzato la propria vita. Tuttavia ci teneva a ribadire il suo amore per la Chiesa: «Amo questa Chiesa perché è lei che mi ha trasmesso Cristo. Ed è nella Chiesa che ho sentito parlare di un Dio che sceglie di perdere ogni potere, preferendo la povertà. Di fronte a certi atteggiamenti della Chiesa mi viene da chiedermi: è possibile che si cerchi il potere per affermare la parola di colui che ha rifiutato il potere?». Uno dei concetti su cui insisteva maggiormente era quello della "gratuità". Nel 1968 si chiedeva: «Come posso restare coerente nell'annunciare la gratuità del Vangelo, se in cambio, proprio per la mia funzione di prete, ricevo del denaro?». È da questa riflessione che scaturì in lui la decisione di diventare operaio. Così entrò in fabbrica (alla Montecatini di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria), per condividere tutto con i colleghi: salario, turni di lavoro, amicizie. Per tre anni registrale sue giornate in alcuni taccuini. Nel 2008 pubblica da Sironi I miei amici. Diari (1968-1970), in cui rievoca quell'esperienza. Il suo ultimo libro, uscito due anni fa sempre presso Sironi; si intitola Le quattro stagioni di un vecchio lunario. Quasi un testamento spirituale, incentrato su una sorta di ritorno alle origini: una ricostruzione dell'infanzia e della giovinezza, alle radici della propria vocazione di uomo e di scrittore. |