RESISTERE IERI Averne di pretoni come Luisito Bianchi, che Dio lo conservi. Ha attraversato il secolo portandosi dietro tutte le contraddizioni possibili senza mai far finta di niente. Prete con una laurea in sociologia sui contadini delle parti sue in Val Padana. Prete e operaio turnista alla Montedison di Spinetta Marengo, Alessandria. Prete e benzinaio, perché non ce la faceva a prendere soldi dalla diocesi, perché se si è preti si è preti e basta, ma per esserlo bisogna inventarsi un sacco di mestieri. Prete e infermiere, prete e scrittore, quando ha sbalordito tutti con La messa dell’uomo disarmato, un immenso romanzo sulla Resistenza.
Immerso nella società, nella fabbrica e immerso nei cambiamenti della Chiesa postconciliare e post-postconciliare. Tormentato e sospeso tra quello che chiedeva Dio e quello che poteva dare agli uomini.
Ora un piccolo brandello della sua vita tra il 1968 e il 1970 viene pubblicato sottoforma di diari. Si intitola I miei amici (Sironi, 24 euro). Sono poco più di novecento pagine cariche di pietas, stanchezza, risate, lotte sindacali, operai felici per la nascita di una figlia, poesia che urlano domande a Dio e preghiere alla Chiesa perché si chini verso gli oppressi e “tolga il velo dalla sua faccia splendente”. Capireparto, olio, ossido di titanio. Uomini soprattutto, come Giannantonio, “ un nostalgico fascista. Poveraccio. Uno di quelli che non hanno ricevuto nulla e mettendosi camicia bianca e cravatta come indumenti di lavoro”. E fede continuamente messa alla prova nei lunghi turni di lavoro dove il reparto diventa una gheenna, i compagni, gente di Samaria e in mezzo ai fumi e alla fatica di un prete, un uomo fa l’unica cosa che è chiamato a fare: cerca l’uomo. |