Il «giornale dell’anima» di un sacerdote che mette per iscritto un’esperienza singolare ma non unica nel panorama italiano all’indomani del Concilio Vaticano II: il suo lavoro in una grande fabbrica. Il diario di chi ha scelto liberamente di farsi prossimo all’operaio per condividerne le asperità che una simile vita comporta. È questo I miei amici. Diari (1968-1970), scritto da Don Luisito Bianchi, appena uscito da Sironi editore (904 pagine, euro 24) e presentato nei giorni scorsi in anteprima nazionale a Leno. Un libro fitto, denso, che raccoglie le quotidiane annotazioni stese dal sacerdote durante il triennio compreso tra gennaio 1968 e ottobre 1970.
A rebours Don Bianchi, uomo schivo e ritroso dall’apparire, decide di pubblicare quello che volontariamente ha scelto di compiere quarant’anni fa con una decisione che non lasciò indifferenti il Vescovo, che gli concesse il permesso di varcare il cancello della Montecatini di Spinetta Marengo, e chi ben lo conosceva. A distanza di quattro decenni Don Luisito mette da parte tutto tranne la propria coscienza ed espone a una nuda prova la sua vocazione e umanità.
Ma cosa spinse un prete, non più giovanissimo, a diventare operaio?
«Era un fatto di coerenza: trovare il sostentamento nel lavoro per essere gratuiti nel ministero, per cercare di capire come poteva essere credibile alla Chiesa».
Un anelito di giustizia dunque pervase il cuore e la coscienza di Don Luisito Bianchi, che nel corso della sua esistenza ha ricoperto diversi lavori, essendo stato anche insegnante e traduttore, benzinaio e inserviente d’ospedale. Un’anima inquieta, alla ricerca della propria pace edenica che decide di servire fino in fondo la Chiesa che ha abbracciato sul modello di Cristo umile e servo. «Quello che più mi interessava era che la Chiesa fosse credibile. E quell’interrogativo rimane aperto ancora oggi, forse ancora di più», annota Don Bianchi. Ma nelle parole del sacerdote cremonese, già autore di un romanzo-affresco sulla Resistenza qual è «La messa dell’uomo disarmato», si coglie molto più che un semplice reportage, minuziosamente curato, su quanto da lui vissuto. Si cela infatti, dietro le quotidiane registrazioni private, meditazioni sull’uomo e sull’esistenza. Spesso sono annotazioni, stese ricorrendo anche alla poesia, tumultuose, drammatiche, spesso dubbiose, ma cariche di passione per l’uomo e per la Chiesa.
«Amici» definisce l’Autore gli uomini con cui ha condiviso la vita in fabbrica, compagni che diventano amici e che, alla fine della lettura, si finisce per «conoscere dopo aver imparato a fiutare l’odore chimico del reparto, provato la durezza del turno di notte, condiviso gli innumerevoli thermos di caffè, visto gli incidenti e patito le morti». «È attorno a loro che prende senso la mia esperienza in fabbrica così da essere l’immagine della Gratuità fatta carne», annota una notte poco dopo aver chiuso il turno serale e meditato le Sacre Scritture, testo che fa da palinsesto ad ogni nota vergata. Attraverso le pagine del denso volume scorre poi la storia d’Italia, con le contraddizioni e il desiderio di palingenesi che ha accompagnato il periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, anche all’interno della Chiesa,: il movimento operaio, i difficili anni post conciliari, il ’68 con tutti i suoi aneliti di cambiamento di cambiamento e le difficoltà che lo hanno accompagnato.
Ma sono soprattutto la Chiesa e la Fabbrica le protagoniste che vengono qui restituite al lettore senza ideologia atrraverso il filtro di un prete e il suo tentativo di fedeltà al Vangelo.
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