Alla fine degli anni Sessanta, nel clima della contestazione, si apriva una stagione nuova anche nella Chiesa Italiana, quella dei preti operai, ognuno motivato da utopie e speranze diverse. Per capire il senso di quegli anni e la scelta di “vivere la fabbrica”, ma soprattutto di costruire al suo interno nuovi rapporti e una condizione diversa per vivere il Vangelo, arrivano ora i “diari” di un grande scrittore cristiano qual è Don Luisito Bianchi. Si tratta di un volume ponderoso, 900 pagine di scrittura sempre tesissima, intitolato I miei amici (Sironi). Una sorta di “giornale” intimo e pubblico al contempo, tenuto quotidianamente dal 1968 al 1970, da quando l’autore inizia i turni nel reparto della Montecatini, a Spinetta Marengo, fino alla conclusione di questa esperienza, se vogliamo anche “vocazione”, in quanto mette in rilievo la possibilità di attuare concretamente le pagine del Vangelo, nella loro radicalità. Questi “diari” scritti a mano sono restati nei cassetti di Don Luisito Bianchi: erano cinque grosse agende «riempite, in fretta e senza pentimenti di scrittura, tra un turno e l’altro», che sono state trascritte da Pier Carlo Rizzi. Ne è uscito un “involontario” e stringente romanzo teologico, in cui Don Luisito si interroga sulle proprie scelte, e in particolare con il suo vescovo, con la sua necessità di rimanere fedele al suo ministero. È proprio il tema della gratuità che spinge il nostro prete a fare questa scelta, tanto che Don Luisito si chiede; «Dobbiamo gettarci nella lotta per una Chiesa fedele all’Evangelo o fedele alla classe operaia?». La sua risposta è precisa e privilegia quel valore su cui ha fondato la sua dimensione di uomo, scegliendo di andare in fabbrica per onestà di fronte alla sua coscienza e per avere una retribuzione per il suo sostentamento. Un libro, questo, che trova un senso e una dimensione precisa nel rapporto con gli altri operai, con gli amici che hanno condiviso con lui quei giorni e ai quali il libro è dedicato, fin dal titolo.
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