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Quei giorni a Dachau nell'orrore quotidiano |
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Paolo Perazzolo, Famiglia Cristiana, 25.01.2007 |
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La straordinaria e dramamtica vicenda di un militare italiano.
Lo struggente diario di Alessandro Dietrich, deportato dai tedeschi dopo l'8 settembre, pubblicato postumo. |
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Li ha curati e protetti, come si fa con i propri figli. Li ha sempre tenuti con
sé, nascondendoli nel fondo del tascapane
o in una tasca del cappotto, perché
voleva ripotarli a casa. Come si fa con i
figli. Eppure non ha mai voluto che i
suoi figli li vedessero e tanto meno che
li leggessero. Per questo i fogli su cui
Alessandro Dietrich aveva raccontato
la sua sperienza nei lager nazisti- prima
a Dachau, poi a Wietzendorf -
hanno avuto una storia singolare e straordinaria: appena rientrato dalla
Germania, li ha copiati
sulla carta protocollata
del Comune di Albano Laziale,
dove lavorava, quindi
li ha consegnati alla moglie
Lella, strappandole la
promessa di non mostrarli
ai loro quattro bambini. «Ci
voleva proteggere da quell'orrore,
e forse voleva anche
chiudere definitivamente con quel passato,
spiega oggi il figlio Nanni.
Solo alla morte del marito, avvenuta
nell'85, la moglie riprese di nuovo i fogli,
li tascrisse uno a uno con una Olivetti
Lettera 22 facendone quattro copie, una
per ognuno di loro. E solo oggi, a oltre 20
anni dalla morte di Alessandro Dietrich,
anche noi possiamo leggerli: l'editore Sironi
li ha pubblicati con il titolo Baracche
- Appunti di prigionia 1944-1945.
Allo scoppio del conflitto, Alessandro
Dietrich era stato mandato in Albania. Dovette entrare in Italia per una ferita
all'inguine, ma l'8 settembre lo sorprese
al Nord. Cominciò un periodo di latitanza,
fu ricercato per essersi sottratto
alla chiamata alle armi repubblichina,
ma, quando venne a sapere che le camicie
nere stavano minacciando la famiglia
del fratello Camillo, si consegnò.
Processato, sfuggì alla condanna a morte
per un soffio: un ufficiale di Salò, al
quale Dietrich aveva salvato la vita in combattimento,
intercedette per lui. Non
gli evitò però la deportazione
in Germania.
Baracche è il racconto di
quei giorni a Dachau e a
Wietzendorf: un racconto crudo,
duro, vero, spietato
e, in un certo senso,
disumano. Episodi della
vita quotidiana, ricordi
improvvisi e teneri e
amare riflessioni, la lotta per la sopravvivenza giorno per giomo, il rapporto
con il fratello Camillo, incredibilmente
ritrovato a Wietzendorf, e con gli altri
detenuti... Il paragone con Prlmo Levi e
con Se questo è un uomo è naturale: «Entrambi
ebbero salva la vita ed entrambi
trovarono la forza di descrivere quell'esperienza, sottolinea il figlio Nanni.
Dopo la guerra, Dietrich si diede all'attività
sindacale e all'impegno politico, diventando
due volte sindaco del suo paese,
Albano Laziale. Di quei giomi drammatici
e crudeli con i figli non volle però mai parlare: «Accenni vaghi, qualche
racconto di traverso ogni tanto, qualche
riferimento a sprazzi e tutte le volte accompagnati da un' espressione inconfondibile
e amara dello sguardo, e il fare attento,
la scelta delle parole e la sensazione che si mordesse le labbra come a ricacciare indietro quel maledetto ricordo,
a non volerlo per niente al mondo divulgare»,
scrive Nanni nella commovente
introduzione a Baracche.
Quando poi la moglie Lella sentì di poter interpretare diversamente la volontà
del marito e consegnò il manoscritto
ai figli, per la famiglia iniziò un lungo
percorso catartico, non ancora compiuto.
«Sono, siamo tutti ancora stravolti»,
ammette il figlio Nanni. A nessuno venne
mai in mente di pubblicarlo; solo di
recente, grazie all'incontro fra la famiglia
Dietrich e l'editore Sironi, favorito
da un intermediario, è emersa la possibilità
di renderlo pubblico.
Ed è una fortuna, perché se è vero che
è un documento drammatico, un pugno
allo stomaco, non va dimenticato che si
tratta di un pezzo di storia. Baracche,
e insieme l'intera vicenda di Alessandro
Dietrich, è per noi una lezione. Con le
parole del figlio Nanni:" A posteriori e
da così lontano verrebbe da pensare che
anche nelle situazioni più estreme si
possa riuscire a rimanere fedeli a sé stessi,
ai propri principi morali che molto
spesso possono rappresentare l'idea che
accompagna una vita intera>. |
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