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Incubo biotecnologie |
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Gianmaria Pitton, Il Giornale di Vicenza, 26.10.2006 |
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Analisi sulla percezione del problema da parte pubblico.
Paolo Madron presenta Bucchi e Neresini
autori e curatori del libro “Cellule e cittadini”. |
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Cinquanta miliardi
di euro stanziati
dal Parlamento europeo per la ricerca scientifica nei prossimi sette
anni. Per farne cosa? La
tentazione è di considerarlo argomento da addetti ai
lavori; in realtà, sostengono Massimiano Bucchi e
Federico Neresini, vicentini (il primo di adozione)
autori di Cellule e cittadini. Biotecnologie nello spazio pubblico (Sironi Editore), la scienza e la tecnologia non sono “qualcos’altro” rispetto alla vita di
tutti i giorni, perché di ritrovati scientifici e applicazioni tecnologiche è pervasa la quotidianità. Anche negli aspetti meno evidenti e persino banali, come comprare il pane: se
sappiamo che la farina
usata per quella pagnotta
è stata prodotta con grano
transgenico, la prendiamo lo stesso?
L’atteggiamento dei cittadini verso le biotecnologie è l’argomento del volume curato da Bucchi e Neresini, entrambi docenti
universitari di sociologia
della scienza (rispettivamente a Trento e a Padova) e componenti del comitato scientifico di “Observa”, l’associazione culturale - con sede a Vicenza -
che studia i rapporti tra
scienza e società. Il libro
sarà presentato stasera alle 20.30, nella Libreria Galla nell’ambito di “Galla
Forum”; l’introduzione è
affidata al giornalista pure vicentino Paolo Madron, vicedirettore di “Panorama”. Il saggio d’apertura dei due autori e i contributi di sociologi, psicologi sociali, biologi e studiosi del diritto, ricostruiscono e analizzano il dibattito sulle biotecnologie.
Prima di tutto, cosa
si intende per biotecnologie?
«L’ambito è vastissimo
- risponde Massimiano
Bucchi - se si prendono in
considerazione tutti i
campi in cui la tecnologia
interviene sulla vita. Di
solito però con biotecnologie si intendono quelle tecnologie che hanno la capacità di intervenire sui
“mattoni” stessi degli organismi viventi, quindi a
livello genetico. Si dividono in biotecnologie biomediche, che definiamo per
comodità “rosse”, e biotecnologie agroalimentari, o “verdi”. Per capirsi:
le cellule staminali hanno
a che fare con le “rosse”,
gli Ogm con le “verdi”».
È diverso l’atteggiamento dei cittadini verso le biotecnologie rosse rispetto a quello verso le verdi?
«In generale le “rosse”
vengono accettate meglio, tranne in casi estremi come la clonazione,
mentre le “verdi” sono
quasi sempre respinte
senza appello. In tale contrapposizione un ruolo
importante è giocato dai
mezzi di informazione: le
ricerche dimostrano che
le biotecnologie verdi sono presentate come fonte
di rischio, se non di pericolo, mentre non altrettanto spazio viene dato ai
loro aspetti positivi. Queste forme di sbilanciamento generano altri stereotipi: la comunità scientifica, ad esempio, è perlopiù
convinta che l’opinione
pubblica sia ostile alle
scienza, cosa non vera. Il
risultato è un muro contro muro che non consente un’informazione corretta».
Perché l’informazione è importante? Non è
meglio lasciare queste
cose agli addetti ai lavori, cioè agli scienziati e
ai politici?
«C’è un certo interesse,
da parte dei policy maker,
a sterilizzare il dibattito,
a considerare la massa
dei cittadini come sostanzialmente ignorante e
quindi non in grado di intervenire nel processo decisionale. Lo dimostra
molto bene il sociologo
della scienza britannico
Brian Wynne, di cui il nostro libro ospita un importante contributo. Tuttavia, l’accessibilità dell’informazione e la trasparenza dei processi decisionali sono indispensabili, anche in ambiti apparentemente troppo complessi
come la scienza e la tecnologia. Il Parlamento europeo ha stanziato 50 miliardi di euro, che sono risorse pubbliche; ben il 30 per
cento è dedicato alle nanotecnologie. Siamo sicuri
che ciò rispecchia vera-
mente le esigenze dei cittadini? Però non se ne discute, e magari tra dieci anni
si presenteranno i risultati bell’e fatti».
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