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E per hobby correre dietro a un lavoro |
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Giuseppe Bonura, Letture, 15.06.2006 |
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Quando si ha urgenza di dire una cosa, l’impegno sulla scrittura passa in secondo piano. Non dico che passa del tutto, ma può capitare che l’efficacia dello stile non risalti di primo acchitto. È quello che succede con questo romanzo di Giovanni Accardo, Un anno di corsa. È una felice sorpresa. È un romanzo impegnato nel modo che spiegheremo subito, ma intanto ci preme sottolineare che sono rarissimi i romanzi impegnati sfornati di recente dalla nostra editoria maggiore, dedita soprattutto a pubblicare prodotti letterari da strapazzo, cioè operine che fanno passare il tempo e basta.
Ignoro se il romanzo sia autobiografico. Certo è che la materia è incandescente. Qui non è in causa l’amore (anche se c’è) ma il lavoro precario, dramma del nostro tempo. Il protagonista è un immigrato del Sud che vive in una città del Nord e cerca appunto lavoro. La cosa buffa è che questo immigrato divide la stanza con un leghista. Che ovviamente se ne strafrega (pardon) delle ambasce del suo dirimpettaio di letto.
Non si creda che il protagonista sia un tipo senza arte né parte. È laureato, possiede perfino una Cinquecento scassatissima (antidiluviana, si diceva una volta) e si adatta a fare un sacco di mestieri. Ma il lavoro dov’è? “Tutti correvano, quell’inverno lì, chiusi nelle tute da ginnastica, lungo i pochi metri quadrati di verde che costeggiavano i canali della città, col traffico che sfiorava i corpi, i muscoli tirati, le labbra viola, mentre il freddo grattava e grattava come un magnifico roditore... Io ero l’unico a non correre, l’unico a camminare...”.
L’ironia del protagonista è pungente. E diventa ancora più pungente in seguito, dato che la disperazione economica corrode il cuore. Ma si diceva dello stile. La cosa buona è che lo stile c’è, e accompagna bene il contenuto serio e impegnato.
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