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UNa lettera a Davide Bregola: Giovanni Costa c'est moi
Rossano Astremo, Vertigine, 28.06.2006
vertigine.clarence.com
Caro Davide, in principio avrei dovuto scrivere una recensione, un qualcosa che abbia un inizio, uno svolgimento ed una fine, in grado di invogliare possibili lettori ad avvicinarsi al tuo CEDA. Ora, invece, mi ritrovo a scriverti una lettera, forse perché stupidamente credo che il giovane Holden abbia ragione quando afferma che la lettura di un libro che ti avvince genera poi la voglia di conoscere di persona il suo artefice. Diciamo che questa lettera rappresenta un modo per essere più vicino all'autore reale. Per stabilire un contatto. Seppur liquido, astratto. Quando termino la lettura di un libro cerco sempre di rintracciare il mio personale momento epifanico, il passaggio che motiva tutto il resto della narrazione, una sorta di punto G del castello prosastico dallo scrittore messo in piedi. In CEDA l'avvistamento della mia personale epifania si trova a pagina 207: "La vita che stiamo conducendo crea incognite per il nostro rapporto. Tutto quello che non stiamo facendo: non stiamo facendo ciò che ci piace, forse nemmeno sappiamo ciò che ci piace, siamo ancora costretti per motivi economici ad abitare con i nostri genitori, non vediamo nessuna prospettiva migliore per il futuro, non abbiamo fiducia in chi governa, non crediamo più a nulla che nasca dalla volontà di riuscita, dubitiamo di tutto, non siamo impegnati politicamente, non facciamo volontariato sociale, non partecipiamo alla crescita del PIL, non versiamo i contributi per mantenere i pensionati che a loro volta mantenevano altri pensionati mentre erano al lavoro…". Senza girarci attorno, caro Davide, il discorso del tuo Giovanni Costa rivolto alla sua Maura è lo stesso che io faccio da tempo alla mia ragazza. La crisi del tuo Giovanni Costa è la crisi che vivo io da un po' di tempo a questa parte. Molte della parole pronunciate dal tuo Giovanni Costa, molti dei suoi pensieri, delle sue derive psichiche, dei suoi errori sono gli stessi che contraddistinguono la mia "precaria" esistenza. Scusa se utilizzo l'abusato termine precario. Ma va molto di moda. Giusto per intenderci. Giusto per farti comprendere che il tuo Giovanni Costa è anche un po' mio. Lo so che può sembrarti stupido, che fa molto lettore di Harmony esclamare durante la lettura di un libro "cazzo, ma questo sono io", però con il tuo CEDA è accaduto più di una volta. Un altro esempio: Anche io ho lavorato per il "Punto Inaudito" e con scarso rendimento economico. Pari quasi al nulla. "La storia che ci siamo sempre raccontati è che siccome nasciamo una sola volta nella vita, viviamo una sola volta, dovremmo sempre cercare di fare ciò che più ci soddisfa, ciò che è nei nostri sogni. Vero". È assolutamente vero, Davide, ma quante volte in questi ultimi mesi ho messo in discussione questa sacrosanta verità. Cliccando qui lo schema frutto del lavoro del teorico della letteratura Seymour Chatman: Proiettando questo schema sul tuo CEDA, diciamo per prima cosa che l'Autore reale sei tu, in carne ed ossa, il Davide Bregola che vive a Sermide ed agisce al di fuori del testo. L'autore reale mentre costruisce il proprio testo pensa ad un possibile Lettore implicito, Eco parla di Lettore modello, diciamo pure una sorta di lettore astratto, contenente tutte le componenti ermeneutiche necessarie per filtrare il messaggio da te messo in ballo con la costruzione della storia. Bregola avrà pensato, anche inconsciamente, ai 25 lettori di manzoniana memoria. Io, Rossano Astremo, Lettore reale del tuo libro, mi sento molto vicino alla tua idea di Lettore implicito. È come se la mia esperienza di vita che viene a coincidere per molti aspetti con quella del Narratore Giovanni Costa induce a considerarmi una sorta di Lettore ideale del CEDA. L'Autore implicito è definito da Wayne Booth come immagine etico-ideologica dell'autore, dallo stesso Chatman viene definito come colui il quale stabilisce le norme della narrativa. Più chiaro ancora Bachtin il quale ha distinto fra "autore-creatore" e "autore-uomo": "il primo è l'unica fonte dell'energia produttrice della forma artistica ed è inseparabile dall'opera; il secondo è un soggetto biografico extra-artistico, rispetto al quale l'opera è del tutto indipendente". Insomma "l'autore è interamente nel prodotto creato, ed è soltanto nella sua opera che noi dobbiamo cercarlo". Insomma, dove voglio arrivare. Nel caso del tuo CEDA si assiste ad una sorta di raggiungimento del grado zero della differenziazione nella gerarchie delle componente della comunicazione narrativa. Il narratore Giovanni Costa, l'Autore implicito, il senza nome, unica fonte dell'energia produttrice della forma artistica, e l'Autore reale, Davide Bregola in carne ed ossa, sono tutti figli di una stessa madre, tutti pescati nel calderone tragico della tua biografia. Che è anche un po' mia. Un po' nostra. Di questa generazione "inutile, improduttiva, non funzionale ai bisogni della società". Chiudo citandoti, nella speranza di incontrarti e conoscerti presto. Anche se già un po' ti conosco dopo il tuo CEDA: "Ecco perché, quando sento miei amici o amiche che mi dicono di avere trovato lavoro, ma gratis o quasi, so benissimo di cosa stanno parlando. Parlano di speranze e di sogni, pensano che un lavoro semigratuito sia l'anticamera di un lavoro stabile e veramente retribuito. Anch'io lo pensavo". Anch'io lo pensavo.
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