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Alcune intuizioni su un romanzo interiormente polisemico |
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Sergio Rotino, Stilos, 20.06.2006 |
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Nella costruzione esperienziale di ogni marratore, come di ogni artista in genere, si contraggono debiti con quelli che si possono definire “maestri ispiratori”. Per Davide Bregola il punto iniziale è l’incontro con Pier Vittorio Tondelli e con due libri “anomali”: Un weekend postmoderno e L’abbandono. Da qui inizia il cammino di questo autore immediatamente vitalistico, carico di una propositività tutta giovanile, che mescola nelle sue prime prove narrative divino e terreno, vita agreste e nuove tecnologie, coniando il termine di “tecnovillano” che tanto irretì la fantasia di Renato Barilli nel “Ricercare” di Reggio Emilia del 1999. I debiti, soprattutto i primi, a cui si debbono aggiungere probabilmente quelli contratti in parallelo con Elemire Zolla e Sant’Agostino, sono come marchi indelebili, anche se col tempo diventano meno appariscenti, perché tendono ad adagiarsi sul fondo del lavoro di scrittura. In Bregola è ancora più complesso rintracciarli nel momento in cui ci si trova a fare i conti con la sua cultura (estremamente vasta), con la sua voglia di conoscenza. Per cui, avendo fra le mani La cultura enciclopedica dell’autodidatta, non è possibile indicare con certezza quali siano le ascendenze formative che hanno portato questo giovane autore a comporre la sua prima prova narrativa sulla lunga distanza. Qualcuno, nello specifico Giulio Mozzi, ha però parlato di romanzo ariostesco, riferendosi direttametne alla struttura dell’Orlando furioso. Molto probabilmente, se di romanzo cavalleresco si vuole parlare, un altro riferimento vicino allo spirito di CEDA è il cervantino Don Chisciotte. È una intuizione che mi sembra supporti bene la figura di Giovanni Costa, il personaggio principale del romanzo di Bregola, che riprende e modernizza i tratti dell’eroe autenticamente romantico così come delineato da Hegel proprio per il Chisciotte. Infatti Giovanni Costa sembra rappresentare in chiave contemporanea proprio l’anima romantica, incarnata dall’eroe cervantino, nel momento in cui si trova a confrontarsi con un mondo che non rispecchia le sue attese. Sarà realmente così? Di fatto CEDA consuma il suo debito verso i libri di Tondelli sopracitati nel suo essere edificato come “opera mondo” e soprattutto come “opera aperta”, desiderosa di descrivere cioè ogni azione significante del personaggio Giovanni Costa, per questo supportandone le avventure con l’assemblaggio di materiali esterni alla storia ma a essa inerenti e autocreando l’impossibilità di una fine, tragica o lieta che sia. Al contempo l’autore crea, all’interno del romanzo, la possibilità di inferire ovunque nuovi tasselli di senso. Il lettore che si approcci a CEDA non avrà perciò la possibilità di chiudere il libro traendone una morale realmente conclusiva, ma solo una parziale, pronta a fare da ponte con quello che sarà la prossima evoluzione di Giovanni Costa. Contemporaneamente, questo personaggio non è altro che l’universalizzazione di un determinato momento storico e sociale che incombe su alcune generazioni, quelle comprese grossomodo nella fascia di età fra i trenta e i cinquant’anni, così apparentemente distanti fra loro eppure così vicine nella visione delle problematiche riguardanti la precarietà sociale e psichica. In ultimo CEDA sembra accettare e ribaltare alcune categorie del romanzo di formazione, soprattutto nella disperata quanto disattesa determinazione di Costa a realizzare la propria formazione di adulto e a integrarsi socialmente nel mondo del lavoro. Categorie presenti ma messe in crisi durante tutto il romanzo, poiché il personaggio – e tutti i comprimari che gli ruotano attorno – si ritrova nella condizione di non poterne usufruire in modo netto. Evidenziando questo “ribaltamento” Bregola – come dal canto suo Desiati e altri giovani narratori – descrive una società e un tempo in cui non è più possibile tracciare una crescita umana e sociale (soprattutto sociale) dai contorni certi, prestabiliti. Diventare adulti, oggi, per Costa non significa più superare determinate soglie, determinate difficoltà, come era stato in precedenza. Il suo destino sociale e umano e psicologico acquista una dimensione di rischio e una perdita di disegno complessivo che Bregola sembra tratteggiare con estremo rigore, costruendo un sistema orizzontale di eventi puntiformi capaci ancora di relazionarsi attraverso la disperata ricerca della verità e del suo significato intrinseco |
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