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Tra sonnambuli nella nebbia e minime mura di provincia
Sergio Pent, Tutto libri-La Stampa, 11.01.2003
Esordi: nei racconti "Sleepwalking" di Laura Pugno, una consumata abilità stilistica; nel romanzo di Garlini, l'eco della cronaca familiare di Pratolini
Diversissimi, antitetici, figli di letterature senza parentele reciproche, comunque generosi, si segnalano con piacere due esordi del galoppante editore Sironi.
Nei racconti di Laura Pugno Sleepwalking siamo nei pressi di una narrativa arabescata, terra di ricerca e di passione, dove i personaggi assumono sembianze eteree e si muovono lungo il confine di zone esclusive ma simboliche, fermandosi ogni volta sul punto provvisorio di una sconfitta, sulla soglia di qualche impossibile rivelazione.
Il “sonnambulismo” del titolo garantisce a ogni testo quella sensazione neutra d'assenza di tempi e percorsi, facendo galleggiare tutti gli stralunati personaggi in una nebbia dove la realtà sembra suggerita da una voce fuori campo, come se da soli non riuscissero a scorgerne le coordinate.
Siamo in un mondo vero - quasi sempre - ma di passaggio, in cui la parola evoca suoni e memorie e suggella – con abilita' stilistica consumata infiammata di passioni indebitate - ogni destino nella curva cieca dei futuri irrisolti, mozzando storie e situazioni come un respiro troncato dalla sorpresa.
Ragazzi che lavorano take-away e si annullano nella magia di piccole donne esotiche, ragazze che accudiscono malati di sogni in cliniche oscure, dove l'eco del mare diventa risacca di memorie tradite; restauratori di mobili che si perdono nel silenzio ghiacciato di lande sconosciute, dove i ricordi riescono comunque a raggiungerli, impietosi; bambine che si muovono come flessuose lolite nei dintorni di estati sussurrate; violenze e passioni consumate nel torpore senza storia di rifugi coperti dalla bianca complicità della neve; amori consumati senza sorrisi dopo anonimi viaggi di conoscenza sulle chatline.
Un percorso sommario di inquadrature esistenziali rubate a un loro tempo incapace di sussulti e di grida, personaggi che sembrano rincorrersi come ombre di un medesimo approccio narrativo, in un territorio incerto dove anche i rari nomi propri della geografia risultano l'errore di calcolo in una festa di fantasmi. In questa dimensione puramente letteraria - metaforica - Laura Pugno esprime una volontà di ricerca -tematica, stilistica - di estrema valenza, con una maturità esente da pecche e da talune ingenuità legate sovente all'esordio.
Con il romanzo di Garlini Una timida santità siamo invece nei pressi di un minimalismo tutto privato che non può non riportare in mente la commossa “cronaca familiare” di Pratolini. Questo messaggio d'amore naturale è rivolto da un nipote alla nonna, morta quasi “per sbaglio”, perché in apparenza destinata a raggiungere l'età longeva dei suoi parenti.
La cronaca sottoscritta dall'autore - una sorta di vademecum autobiografico, bagaglio di memoria destinato a involontario fine consolatorio - è un percorso lineare, semplice, senza involuzioni o impennate, nella storia minima di una donna modesta, vissuta in silenzio tra quattro mura di provincia a Collecchio, presso Parma: uccellini in gabbia, soprammobili, un lembo d'orticello, ricordi di balere estive e amori appena suggeriti, costituiscono l'esistenza di Tina, ripercorsa dal nipote dopo il funerale della donna.
Una prima parte cruda ma realistica, che ripercorre il calvario veloce e implacabile della malattia senile, tra ospedali, medici scostanti, riprese e ricadute, fino ai parenti d'occasione di un gelido addio di dicembre.
Poi la morte lascia lo Spazio ai ricordi, e nel silenzio di una casa ormai ammutolita il giovane ritrova pezzi di un antico puzzle esistenziale, nei cassetti e negli arredi, e riesce davvero a ricrearla - con amore, con solenne rispetto - la “timida santità” di una donna scivolata nella vita senza rumore, senza acuti: un angelo, forse, se un angelo è “un essere che passa sulla terra e non lascia conseguenze, se è qualcosa che vuole essere impresso dal mondo più che imprimere il mondo”.
Il romanzo di Garlini riesce a parlare della morte con serenità e senza eufemismi e, soprattutto, a ricreare con naturale commozione un rapporto d'affetto particolare nel profilo di una figura marginale, una di quelle che arricchiscono la letteratura quotidiana di un'umanità senza voce, persa coi suoi sorrisi e le sue rinunce nelle immense province della vita.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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