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La cultura enciclopedica dell'autodidatta
Luigi Preziosi, Stilos, 20.06.2006
Con "La cultura enciclopedica dell'autodidatta" Davide Bregola scandaglia nel profondo, per individuarne materiale grezzo utile per iniziare una nuova ricerca, uno dei paradigmi della contemporaneità che negli ultimi tempi si è più radicato nei rapporti tra individuo e mondo circostante: la precarietà. A quella esistenziale, presenza per altro costante in narrativa e non solo, se ne va da ultimo aggiungendo un'altra, quella per così dire "materiale", relativa ai mezzi di sostentamento, alla mancanza della casa o delle prospettive di crescita sociale e, di riflesso, personale. L'una si accresce dell'altra, o meglio, l'una è in qualche misura rappresentazione pubblica dell'altra, la trasforma da disagio interiore a dato politico, se per tale si intenda una situazione individuale che deriva dall'organizzazione collettiva e che da essa attende soluzioni. Della somma di entrambe soffrono le generazioni che si affacciano in questi anni a quella soglia che solo qualche decina di anni fa imponeva ai loro padri di assumere un ruolo sociale, e che a volte consentiva loro, una volta addossatisi quell'onere, di provare sollievo, forse apparente, forse illusorio, anche per quell'altro più profondo e a tratti immedicabile senso di precarietà spirituale di cui s' è detto. Della somma di entrambe soffre anche Giovanni Costa, il personaggio che Bregola vuole eponimo di questa generazione di giovani che vive, subendolo, il disancoramento dalla società. Di lui e del suo mondo il lettore è gradatamente posto in condizione di conoscere molto, grazie ad un discorso in prima persona che non solo scava in se stesso, ma assorbe anche impressioni, esitazioni, considerazioni degli altri personaggi e li fa propri con facilità inconsueta, come testimoniano quei dialoghi non virgolettati, immediatamente interiorizzati da Giovanni e rivissuti come esperienza propria. Giovanni è dunque un giovane che, nonostante un brillante curriculum scolastico, smette l'Università al sedicesimo esame di giurisprudenza. Di famiglia modesta, (padre impiegato in pensione dell'Enel, madre casalinga e di quando in quando donna delle pulizie, il fratello camionista), vive di piccoli lavori saltuari. Il quadro delle sue relazioni è completato dalla presenza di Maura, sua fidanzata da anni, e da un gruppo di amici, quasi tutti afflitti dallo stesso senso di provvisorietà, e forzatamente posti a confronto con problemi di sussistenza. Ecco quindi Giuseppe che fa il burattinaio ed organizza rappresentazioni per i bambini dell'asilo, ed Attilio gestore del bar della stazione e Milton da Pesaro, che dopo dieci anni di studi filosofici ad Urbino, sta scrivendo la tesi ed ha tentato, invano, di farsi assumere come commesso in una libreria. Opprime i personaggi di Bregola (un'oppressione silenziosa, non proclamata, subìta come si subisce lo scivolar via del tempo) la mancanza di prospettive per il futuro, l'immersione in una quotidianità mediocre che non pare offrire motivi di rivalsa, il ritrovarsi costantemente sotto un cielo sempre troppo basso, in cui l'orizzonte è così vicino da sembrare un confine. Differenzia apparentemente Giovanni dai suoi sodali il fatto di aver scritto un libro dal curioso titolo "Sonata in bu minore per quattrocento scimmiette urlanti", di averlo pubblicato e di averne ricavato una piccola fama tra parenti e conoscenti. Neanche la pratica della narrativa, però, solleva la sorte del protagonista, per cui l'invasività del senso di provvisorio si trasforma a volte in un consapevole adeguamento alla mediocrità che lo circonda. Diversa, per la sostanza di piccoli o grandi dolori che la perturba, ma non per l'intensità del sottile senso di inanità che comunque la pervade, appare a Giovanni l'esistenza della generazione dei padri. Dei suoi genitori osserva i modi di comportarsi, le piccole manie, capisce le difficoltà del padre a adattarsi alla vita di pensionato, ne percepisce l'ansia per il male contratto in lunghi anni di lavoro, senza poter far nulla per alleviarla (ma anche senza domandarsi se possa fare qualcosa). Fruga nei ricordi, anche per identificare nel passato di se stesso bambino o ragazzino, o dei suoi genitori colti in curve particolari della loro vita, un presagio della sua presente condizione, un'indicazione su come uscirne. Ma le generazioni si sono succedute troppo in fretta, e non c'è esperienza del passato che possa adattarsi all'oggi, il presente ci incalza e ci coglie impreparati, ciò che da bambini abbiamo sognato si avverasse di noi stessi si è rivelato inadeguato già prima che avessimo l'età per progettarlo davvero.
Giovanni si impegna in una disincantata perlustrazione del mondo, fatta di nuovi incontri, a volte sgradevoli, a volte interessanti, mai risolutivi, di piccoli episodi che narrano di una quotidianità fatta di invii di curricula, di confronti impossibili con i giovani rampanti di cui parlano i giornali e di letture di pagine letterarie sugli scrittori più promettenti.Lunghi dialoghi con Maura sui grandi fatti della cronaca degli ultimi mesi (Bregola è bravo a servirsi di essi per consolidare l'andamento diaristico del testo) danno la misura della distanza di questi giovani dai fatti di cui si appassionano, ma di cui si direbbe parlino ripetendo cose dette da altri, come orecchiate da discorsi di una cerchia di adulti a cui non sono ancora ammessi. Ma la precarietà non esaurisce affatto il respiro largo del libro. Ad una tenace curiosità per le cose, Giovanni Costa, infatti, ne affianca un'altra, che si realizza in una attività ben precisa, entusiasmante ed ingenua, tanto generosa quanto inutile: interrogarsi sulla verità. L'una può essere conseguenza necessaria o necessitata dell'altra: in questa indagine non lo raggiunge la mediocrità a cui l'aver metabolizzato il senso del provvisorio potrebbe inchiodarlo, ed investendosi di una responsabilità così alta evita il limbo della deresponsabilizzazione a cui la precarietà lo destina. Il racconto è quindi intervallato di undici appunti sulla verità, che Giovanni annota come spunti per un suo prossimo libro. Gli apporti sono molteplici: si va dalle definizioni di verità disponibili su Google, a brani tratti da testi di Albinati e di Scarpa, a contributi dell'amico Giuseppe, o di Maura o riflessioni dirette dello stesso Giovanni. L'inchiesta è ad ampio raggio,e così dai lemmi del Dizionario filosofico Utet si passa al binomio letteratura - verità ("la nostra letteratura, in questo periodo storico particolarissimo e delicato... è in grado di dire la letteratura? e se sì cos'è questa verità?"), alle consapevolezze originate da riflessioni autonome ed "oblique", per cui dalla verità letteraria si passa a quella matematica per approdare a quella etica. La lettura di Sergio Quinzio indirizza Giovanni alla distinzione tra "apprendere la verità" e "fare la verità" (quest'ultima supremo vincolo per lo scrittore), mentre in un altro appunto distingue tra la funzione della letteratura di "vedere" la verità e la felice incompiutezza dell'aspirazione a possederla. E' questa ricerca appassionata ed incompiuta per definizione a rendere Giovanni un novello enciclopedista, che aduna gli elementi più disparati che ritiene possano servirgli per avvicinare (non per possedere) la verità.
Testo di particolare complessità (non tragga in inganno la facilità di resa espressiva che Bregola dimostra anche nelle parti saggistiche più ardue) e generosamente ricco di suggestioni, "La cultura enciclopedica dell'autodidatta" ambisce a scrutare il mondo in maniera da coglierne prospettive, se non mai tentate, certo non usuali. Pervade l'intera narrazione l’impegno di adeguare la scrittura alla realtà che intende rappresentare, e non a caso la ricerca sulla verità, cioè su ciò che più d’ogni altra cosa dovrebbe essere saldo, si compie all’interno dell’esperienza della precarietà: l’ossimoro rende opportunamente conto del nostro modo di vivere, di passaggio, confortato da scarse certezze, e al tempo stesso in costante ricerca di un significato che riscatti il provvisorio. Ne deriva alla narrazione una forte tensione etica, che impronta positivamente di sé non solo la trama o gli aspetti tematici del romanzo, ma anche gli elementi strutturali più sperimentali: tutto si tiene, nel romanzo di Bregola, nonostante l'apparente disorganicità, o anzi, forse grazie ad essa, dal momento che ad appassionare l’autore è proprio l’esplorazione della contemporaneità, per definizione poco decifrabile per chi la vive.
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