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LIBRI: 1986, L'INCIDENTE "CHE NON DOVEVA SUCCEDERE" |
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Chiara Alice Andreoli, Ansa, 26.04.2006 |
Ansa.it |
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(ANSA) - ROMA, 14 APR - ''Le mele di Chernobyl sono buone?
Certo, basta seppellire il torsolo in profondita'''. E' a una
barzelletta russa, in circolazione dopo il disastro nucleare,
che si ispira il titolo di un libro che ripercorre il mezzo
secolo che piu' ha segnato il rapporto tra scienza e societa'.
'Le mele di Chernobyl sono buone' (di Giancarlo Sturloni, Sironi
Editore, 16 euro) prende spunto dalla cronaca di quei giorni
tragici dell'Unione Sovietica, da quel 26 aprile 1986, per
scandagliare la controversia tra progresso e rischio
tecnologico. Il dramma di Chernobyl, ma anche i silenzi di
Seveso. Se sono infatti passati esattamente 20 anni dalla piu'
grande tragedia nucleare della Storia, il prossimo luglio ne
saranno passati 30 dal disastro ambientale della nuvola di
diossina che colpi' alle porte di Milano. Anniversari di morte,
disincanto verso quell'idea di progresso collettivo, che
impongono una riflessione, come scrive l'autore, che non si puo'
rimandare oltre. Si parla anche di Bikini, di Aids e di mucca
pazza in questo libro a meta' tra cronaca e sociologia, un
saggio che propone soprattutto un'ipotesi, una chiave di
lettura, di cio' che si nasconde dietro la percezione e
l'impatto sociale del rischio tecnologico. Le rappresentazioni
dei progressi tecnologici altro non sono, secondo questa ipotesi
dell'autore, esperto dei rapporti tra scienza e societa' alla
Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati di Trieste,
che miti moderni, (nel significato originario della parola greca
'mythos', ossia quello di 'narrazione'), una sorta di griglia di
lettura che consente di descrivere conflitti tra interessi
contrapposti e assegnare significati e precetti agli eventi e
alle loro ripercussioni. Dal mito della scomparsa di civilta', a
quello della conoscenza a tutti i costi, fino a quello di
Frankenstein, che fa da sfondo alla questione spinosa sugli
organismi geneticamente modificati, altro tema affrontato dal
libro. 'Miti della modernita'', come li definisce l'autore,
''che costituiscono un terreno di confronto per interessi e
valori contrapposti e che sono alla base dei dibattiti pubblici
nella societa' del rischio (...) controversie che nascono non
tanto dal rifiuto di un pubblico tecnofobo atterrito per i
possibili effetti su salute o ambiente ma, piu' plausibilmente,
dalla consapevolezza che le scienze moderne, acquisito il potere
di manipolare la materia, liberare l'energia dell'atomo e
intervenire sulla vita di piante e animali, dispongono della
possibilita' di ridefinire il ruolo dell'uomo nella natura e
forse, per la prima volta, la stessa natura umana''. Ricco di
citazioni ben dosate, il libro offre un punto di vista non
banale, ma (e volutamente) neppure conclusivo, quanto invece
articolato e argomentato, sul legame tra progresso e societa'
dell'ultima fine di secolo. Un legame che ha segnato e segnera'
il futuro verso cui ci muoviamo a partire da quell'incidente
'che non doveva succedere', raccontato attraverso lo stile
asciutto, diretto e coinvolgente della cronaca.
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