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Mezzo secolo di rischio tecnologico |
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Mauro Capocci, Le Scienze, 01.04.2006 |
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Il potere che la ricerca scientifica ci offre ci ha messo davanti a una serie di scelte e quindi ai rischi che ne derivano. Come gestire questi rischi intrinseci allo sviluppo tecnologico? Questo libro offre una lunga ricognizione storica sui rischi affrontati nella seconda metà del Novecento, associata all'evoluzione del concetto di gestione del rischio. Si muove dunque su un doppio binario: le teorie sociologiche fanno il paio, per esempio, con gli incidenti nucleari e la mucca pazza. Si costruisce così una convincente narrazione dell'evoluzione del rapporto tra scienza e pubblico. La gestione del rischio infatti non è solo un problema tecnico (evitare i rischi), ma implica la cooperazione con chi potrebbe subirne i danni. Si è passati da un mondo in cui il pubblico non era informato a una gestione più aperta dei rischi: il pubblico è diventato un legittimo interlocutore, almeno a parole, nei processi decisionali. Tuttavia, come è messo bene in luce nel volume, troppo spesso nell'era moderna il rapporto con il pubblico si è limitato alla mera comunicazione: gli esperti che rassicurano snocciolando dati e statistiche, o più raramente mostrano la pericolosità di una tecnologia che si è deciso di non adottare. Raramente vi è stata vera interazione e ciò ha causato sfiducia nei confronti degli scienziati, nonché la diffusa percezione – spesso corretta ma espressa in modo manicheo – che il loro operato sia dettato da interessi nascosti. Occorre dunque recuperare il rapporto tra scienza e pubblico, probabilmente proprio sfumando la distinzione che separa gli esperti dal resto della società. Interessante è poi la parte finale del volume in cui si ripercorrono alcuni dei miti, soprattutto letterari, che riguardano gli scienziati, come Dr. Jekill e Mr. Hide o il dottor Moreau. Se la comunità scientifica avesse compreso meglio i significati di questi miti, forse il rapporto con la società sarebbe migliore. |
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