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Cronaca di una discesa agli inferi della precarietà |
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Benedetto Vecchi, Il Manifesto, 11.02.2006 |
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«Un anno di corsa», il diario di un giovane neolaureato alla ricerca di lavoro. Tra arbitrio e insulti razzisti. |
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Cosa ci fa un ventiquattrenne siciliano a Padova? Si laurea e cerca lavoro. «Benvenuti nel deserto del lavoro»: potrebbe essere infatti questo il motto che introduce alla lettura di questo diario scritto da Giovanni Accardo su un plumbeo inverno passato alla ricerca del lavoro. E in quell'inverno gli accade però di tutto. Il protagonista è picchiato da un gruppo leghista che vomita frasi razziste e paranaziste contro i meridionali; finisce a lavara i piatti in un albergo ristorante specializzato in pranzi matrimoniali; si ritrova in un allevamento industriale a rincorrere polli per mandarli al macello; passa nevroticamente da un colloquio all'altro; accetta di fare il ghost writer «a progetto» per il suo professore universitario nella speranza che questo «subappalto» gli apra le porte dell'università.
Con uno stile che vira, pagina dopo pagina, verso un ingenuo melodramma, il giovane protagonista descrive la consapevolezza che per lui il lavoro spogliato di ogni valore che non sia quello dell'agognato salario, perché «per vivere – esclama – servono i soldi». Colleziona un insuccesso dopo l'altro. Ogni tentativo è un «capitolo» – trentaquattro – di questa discesa agli inferi del lavoro. Risponde a domande demenziali tipo: «È ottimista?»; «Come vede il suo futuro?». Quesiti a cui risponde con innocenza: «Se mi date il lavoro, comincerò ad essere un po' ottimista e il futuro sarà meno nero del presente».
Una verità niente affatto apprezzata da uomini in abito nero e da donne in tubino che lo scrutano per verificare se «pensa positivo» oppure no. Il suo compagno di stanza, invece, mente spudoratamente, cerca raccomandazioni, flirta con i leghisti ex-democristiani amici di famiglia: ma anche per lui umiliazioni e proposte ignobili. Se la prende con i «terroni» che rubano il lavoro, ma poi guarda il suo coinquilino e torna a intossicarsi con un talk-show.
Il giovane siciliano tenta pure la carta di Torino, memore di passate migrazioni interne. Ma la città della Fiat è ferigna come l'osannato nord-est. Gli amici di infanzia che ritrova nella città piemontese nutrono, come lui ben poche speranze sul loro futuro. La Fiat è ormai un miraggio svanito un autunno del 1980: il resto è disperazione, al punto che la rabbia schiuma anche lì nel canale di scolo leghista, rivolto però contro africani, albanesi e rumeni.
Punta tutte le sue carte in un corso di formazione a Milano. Un brainstorming di tre giorni voluto da una casa editrice per saggiare la disponibilità di potenziali redattori ad usare senza riserve la loro intelligenza, creatività e propensione alla «collaborazione» per favorire l'impresa, evitando però domande scomode e spirito critico. Per quanto riguarda la cooperazione e le relazioni con gli altri, sono elementi che vanno comunque conditi con una dose massiccia di competizione per mantenere il controllo. Il giovane riceve da lì a una settimana una lettera in cui viene informato che non mostra l'attitudine necessaria a lavorare in gruppo, cioè non accetta di diventare il burattino tutto pacche sulle spalle che poi nel confessionale chiede di cacciare via il compagno di lavoro. Cioè non vuol ridursi a mettere in scena l'osceno spettacolo che i reality show propongono come condotta di vita: conviviale sì, ma pronto ad eliminare il compagno di «avventura».
L'inverno finirà, ma non il suo calvario. Decide di andarsene via. Con la certezza però che non c'è nessun altrove dove cercare salvezza. |
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