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Il libro dell'incertezza |
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Augusto Golin, Alto Adige, 27.01.2006 |
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L’esordio di Giovanni Accardo, il siculo-bolzanino |
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Esce oggi in libreria Un anno di corsa il romanzo di esordio di Giovanni Accardo, pubblicato nella collana “Indicativo Presente” per l’editore Sironi di Milano. Giovanni Accardo è nato in Sicilia nel 1962, ma vive da anni a Bolzano, dove insegna italiano e storia al Liceo pedagogico “Pascoli”. Per alcuni anni è stato responsabile dell’Associazione culturale BZ1999. Insieme ad Antonella Cilento ha ideato, presso l’Università Popolare delle Alpi Dolomitiche di Bolzano (www.upad.it), la Scuola di scrittura creativa “Le Scimmie”, di cui è tutor ed uno dei docenti.
Un esordio dove, pur negando l’intento autobiografico, il protagonista segue le orme dell’autore, ambientato com’è, tra Padova, dove entrambi si sono laureati in lettere, e la Sicilia dove sono nati.
Ma la vita del protagonista, alla disperata ricerca di un lavoro qualsiasi, si presenta dura fin dalla sua laurea malgrado il suo 110 e lode. Una vita agra ai tempi del lavoro interinale, dei co.co.co e dei contratti a finto progetto, un mondo spesso ignorato nelle politiche sindacali e nei programmi dei partiti che la chiamano flessibilità.
Ma qui non siamo nella Milano del boom e della piena occupazione degli anni ’60, una città che ti dava il lavoro promesso e stabile ma nient’altro di più. Qui siamo in una Padova nebbiosa, rabbiosa e leghista, a metà degli anni ’90, dove il freddo e l’umidità ti penetrano nelle ossa e nell’anima, in una città che ti offre lavori esaltanti quali distribuire volantini, cameriere ai matrimoni, spennare polli o cercar di convincere gente disperata come te a comperare mobili in fabbrica e aspirapolveri.
Il fallimento rende il nostro uomo astioso, polemico e incazzato con il mondo al quale spesso minaccia di dare fuoco. Tutto questo non può che rivoltarsi contro il protagonista che diventa paranoico: teme che il soffitto della cucina, dove si è ridotto a dormire, si abbassi fino a soffocarlo; vede le sue mani diventare di plastica, in una mutazione nichettiana, staccarsi dalle braccia e andarsene per conto proprio. Un ipocondriaco che finisce inevitabilmente all’ospedale per un’ulcera perforante, la malattia professionale dell’emigrante, calabrese o maghrebino che sia.
Un anno di corsa è il rendiconto tragicomico di come il precariato, l’incertezza del futuro, l’impossibilità di lavorare con soddisfazione trasformino e abbruttiscano le persone nell’anima e nel corpo. Vagando tra le nebbie del nord-est, con brevi puntate tra Milano e Torino, dove parenti lontani dovrebbero aiutarlo nella sua disperata ricerca di un lavoro, il protagonista si ritrova a decidere per un mesto ritorno a casa, in una Sicilia che almeno lo riconosce come figlio di suo padre, anche se il suo destino è ormai quello di un continuo sradicamento e straniamento.
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