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Questo è il giardino |
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Luigi Preziosi, Stilos, 01.08.2005 |
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Ritorna in libreria dopo dodici anni, per merito di Sironi editore, Questo è il giardino , la raccolta di racconti di esordio di Giulio Mozzi: con essi l’autore accerta per la prima volta la propria singolare attitudine a cogliere ogni peculiarità che attraversi accadimenti anche minimi, intrecciandosi a volte inestricabilmente con l’ovvietà del quotidiano, e a decifrare segnali occultati in eventi di importanza apparentemente scarsa anche per chi ne è protagonista. Di questi casi è opportuno investigare invece l’aspetto più nascosto, cogliere la scheggia che può convertire la contingenza più banale in un momento irripetibile, mettere a profitto il valore aggiunto da individuarsi in ogni episodio ordinario di vita. Lo scarto dalla linea retta della quotidianità è spesso minimo, eppure tale da lasciar supporre che dietro all’apparenza delle cose si celi altro, e, soprattutto, che quello scarto appartenga in maniera diversa a chiunque riesca ad avvertirlo.
Così in "Lettera accompagnatoria", un fatto quasi insignificante (il furto di una borsetta, e la sua conseguente restituzione da parte del ladro alla proprietaria con una lettera di accompagnamento) diviene pretesto per un’esplorazione intima di sentimenti altrui. Anche in "L’apprendista", storia di un apprendista scavalcato da un altro giovane nella agognata promozione ad operaio, lo spunto è esiguo, ed è occasione per la rivelazione che una forma diversa di convivenza con se stesso è possibile: l’apprendistato sine die, permanente, pare, infatti, al protagonista condizione migliore di una sistemazione definitiva, per la disponibilità propria dell’indeterminatezza ad “assumere qualunque forma le venga richiesta”. Filtrato da memorie, segni, avvenimenti minuscoli ed occasionali è anche l’amore a cui Mario, il protagonista di "Treni", pensa durante il viaggio che lo porta verso Roma, dopo aver ricevuto una lettera (forse) equivoca da una ragazza lasciata tempo prima. Anche lui, come buona parte dei protagonisti di Questo è il giardino pare subire il fascino del precario, del provvisorio, appagandosi di una collocazione marginale, da cui osservare di sguincio gli avvenimenti, senza ostentare eccessivi coinvolgimenti emotivi.
La ricognizione minuta del quotidiano è operante anche in testi distanti da quella poetica dell’ordinario e del provvisorio che ispira la raccolta e che è del resto apertamente enunciata in "Per la pubblicazione del mio primo libro" dall’alter ego di Mozzi. "F." (in cui è trasparente l’ispirazione alla tragica vicenda del giudice Falcone), è la cronaca delle ultime ore di un giudice incalzato da una spietata organizzazione criminale e destinato a morire in un attentato con la moglie e con la scorta durante un viaggio in autostrada. La storia vive dell’intenso pulsare di sensazioni, ricordi, vibrazioni del cuore che può provare un uomo costretto ad un’esistenza in condizioni estreme, che proprio nella mancanza dei gesti e dei pensieri propri di una vita come quella di tutti, nel progressivo prosciugamento di ogni possibile normalità ha iniziato a morire, ben prima dello scoppio dell’ordigno. Anche in "L’unghia", apologo morale costruito sulla storia dell’ultimo periodo della vita di Yanez, fedele compagno di avventure di Sandokan, il gesto minimo, spoglio di ogni residuo retorico, diventa risolutivo snodo esistenziale. La confessione resa dall’eroe ad un missionario inglese lo aiuta a ritrovare il suo vero se stesso nell’imminenza della morte, liberandolo dalle mille vite “di troppo” vissute e rivelandogli l’unica “giusta” per lui, la sua.
Nel mondo purgatoriale descritto da Mozzi, la realtà, pertanto, si manifesta sminuzzata in un numero indeterminato di frammenti, da ciascuno dei quali, singolarmente considerati, difficilmente si intuisce la forma dell’insieme; meglio allora rinunciare ad una improbabile reductio ad unum, e scavare nei dettagli, cercare spiegazioni parziali. L’acribia nella descrizione del particolare e la minuta rendicontazione dei singoli gesti manifestano una pervicace ricerca di un significato che sia diverso da quello che appare a tutta prima evidente. La scrittura dunque, una scrittura piana, senza svolazzi, che segue una linea mediana di rappresentatività, senza picchi di enfasi, né abusi di understatement, scava in storie in cui la trama è spesso poco più che un pretesto, fino a segnalare l’affioramento di verità, che, per limitate che siano, diano senso all’evento raccontato, anzi che ne siano esse stesse il senso vero. L’indagine su queste verità, costruita sulle evenienze quotidiane o sull’attenzione al dettaglio come antitesi di destini altrimenti “eroici”, costituisce per Mozzi una vera e propria urgenza morale, il significato stesso del suo scrivere. In questa permanenza all’interno della narrazione di una tensione etica verso la verità, sia pure parziale o minima al limite dell’insignificanza, il piccolo miracolo a cui accenna l’autore nel risvolto di copertina (“la scrittura e il racconto si rivelano vie di salvezza e felicità della vita”) si rinnova, e ci incanta ancora.
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