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Saranno famosi |
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Carlo Donati, QN / il Resto del Carlino La Nazione Il Giorno, 22.01.2003 |
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E l'Italia dei travet dà lezione di thriller |
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Un libro che tiene incollato il lettore dalla prima all'ultima pagina? E' molto rischioso dirlo di un tomo alto un palmo, scritto da un italiano, per di più esordiente e nemmeno alternativo o “cannibale” o “giovane”.
Ma le case editrici lo dicono spesso dei loro libri. Così del primo romanzo di Tullio Avoledo (classe 1957), L'elenco telefonico di Atlantide, pubblicato in questi giorni, lo dice anche l'editore Sironi. Sembra impossibile ma è quasi la verità, se non per tutte le 527 pagine almeno, grosso modo, fino a pagina 501.
L'elenco telefonico di Atlantide è, per prima cosa, un thriller “italiano”. Per seconda un romanzo gotico contemporaneo. Protagonista un bancario, il dottor Rovedo, responsabile e unico addetto all'ufficio legale di una piccola banca che sta per essere ingoiata da una multinazionale del denaro. Ordinaria amministrazione di questi tempi, con le dolorose e implacabili sequele di ristrutturazioni, licenziamenti e trasferimenti.
Ma un paio di pietruzze si infilano nell'ingranaggio. Una modesta grana per la banca e un'ancor più modesta assemblea di condominio. In entrambe è coinvolto Rovedo. Nel primo caso, come legale, è colui che deve respingere il ricatto di un hacker che inserisce siti pornografici nelle pagine Internet della banca. Nel secondo, ancora più banalmente, è il solito condomino messo in croce per i ritardi nel pagamento delle rate.
Ma i due avvenimenti hanno una chiave unica per aprire la porta al brivido. C'è da qualche parte un complotto che lega i pettegolezzi di pianerottolo con gli oscuri imbrogli degli gnomi dell'alta finanza. E Rovedo, suo malgrado, viene trascinato a scoprirlo.
Il debuttante Avoledo, pescato da Giulio Mozzi, ha indubbiamente talento. Su una piccola Italia domestica (per la precisione il pacifico Friuli dove l'autore vive e lavora, in banca anche lui), tra ipercoop, surgelati, pagine gialle, mulini bianchi, superenalotti, bot e il resto della nostra paccottiglia giornaliera, è capace di allestire, senza rete e senza cadere di sotto, uno spettacolo pirotecnico che sfiora tutti i mondi possibili, dalle divinità egizie al futuro più remoto.
Niente trash, giusto sesso, pochissimo sangue (un morto solo o forse un paio che però filano via quasi inosservati), ironia sorvegliata, dialoghi scanditi dai tempi giusti e una trama ben governata.
E' il finale che convince meno, lo scioglimento del thriller, anzi il doppio scioglimento. Ce n'è uno classico, un po' confuso, con lo smascheramento dei cattivi e degli impostori. Poi ce n'è un altro un po' lambiccato, tipo universo parallelo, reti neurali, biotech, coscienze artificiali e cose del genere.
Non è certo quest'ultima trovata, anche se dà il titolo al romanzo, a far funzionare la macchina narrativa. È invece, e per fortuna, la scrittura a tenere svegli. E' quella che dà spessore a Rovedo e agli altri piccoli eroi, che rende credibili incantesimi e sortilegi nelle cantine di un condominio ciabattante, che consente di mescolare dottrine esoteriche con gli sghei del Nord-Est, e che, infine, svela quanto c'è di inquietante sotto la patina di normalità collettiva dietro la quale tentiamo invano di nasconderci. |
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