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Difendo la parola e la memoria |
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Paolo Pegoraro, Vita Pastorale, 01.05.2004 |
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Esistono solo tre esseri rispettabili: il prete, il guerriero, il poeta. Così Charles Baudelaire in una delle sue ultime opere, Esistono solo tre esseri rispettabili: il prete, il guerriero, il poeta. Così Charles Baudelaire in una delle sue ultime opere, Scritti intimi – Il mio cuore messo a nudo. «Gli altri uomini - conclude il dandy parigino - sono soggetti a taglie e servitù, son fatti per la scuderia, cioè per esercitare quelle che si chiamano professioni» (XIII, 22). Luisito Bianchi esce indenne da una provocazione del genere: sacerdote dal 1950, insegnante, traduttore, autore di saggi e opere teatrali, può ben riscuotere anche gli onori del guerriero. Con il suo ultimo romanzo, La messa dell uomo disarmato, ci offre infatti un largo spaccato sugli anni della Resistenza, una fatica di 860 pagine (ma la prima stesura superava di molto il migliaio) che testimonia il suo impegno nel buon combattimento della memoria.
Non solo. Don Luisito è uno che non si accontenta e risponde per le rime anche a Baudelaire, avvertendo l urgenza di “passare per la scuderia” a conoscere gli uomini a cui parla e di cui scrive. È una sua idea fissa, quella di sostenersi economicamente con il lavoro delle proprie mani, a costo di passare per le professioni più disparate: l operaio, l infermiere, il benzinaio. Nel frattempo scriveva. Finché, qualche mese fa, l editore milanese Sironi ha ristampato il suo unico romanzo, uscito in edizione autoprodotta nel 1984, strappando consensi a tutti. Perché la scrittura di don Luisito non ha niente da spartire con la fiction corriva che infesta le librerie. Il suo stile è ampio, mai compiaciuto nonostante la materia drammatica, eppure compatto e capace di far rivivere un mondo contadino smarrito.
Karl Rahner ha scritto che «una delle più alte possibilità è quella che un uomo possa essere al tempo stesso sacerdote e poeta».
Già la Parola in sé, quando la si celebra, esprime e richiede il rispetto delle parole che vengono usate. E quanto più le parole sono vere, ossia esprimono la realtà che contengono, tanto più emerge la Poesia. Cerco d avvicinarmi a questo ideale che m è stato trasmesso da altri: il mio arciprete (è il don Angelo de La messa), i miei professori di lingua in seminario: il prof. Secondo Bertolazzi (morì ancora giovane, con la stanza in cui agonizzava controllata dai partigiani dell ultima ora, una vergogna!) che, leggendo L Infinito aprì il cortocircuito d un ragazzo alla bellezza, e il prof. Ettore Macchi. Il fatto di essere sacerdote-romanziere non mi tocca, semplicemente non lo sono. Cerco d amare la Parola e le parole, questo sì; per essere vero e onesto.
Il romanzo insiste nell individuare la Parola (di Dio) non solo nella “lettera morta”, ma soprattutto in quella viva che è la storia piccola e grande di ognuno.
Penso che, sulla scorta dell ante constitutionem mundi di san Paolo, tutto quanto accade nel suo essere e divenire sia come fili che s incrociano; sembra sul momento non abbiano un disegno ma poi – indipendentemente dal tempo che occorre – si rivelano parte del grande arazzo della vita di ciascuno e di tutti.
Molti scrittori italiani hanno già raccontato la Resistenza, da Fenoglio alla Viganò, da Calvino a Pavese e Vittorini: perché anche lei? Vi ha lavorato per ben dieci anni.
I libri citati furono tra i primi che lessi sull argomento. Ricordo che ne fui preso per l azione che descrivevano più che per la parola o il messaggio che volevano trasmettere. Non ho inteso scrivere un altro libro sulla resistenza, ma raccontare che cosa rappresentò per me quel grande avvenimento. Ripeto che non mi sento uno scrittore perché non conosco nessuna teorica di scrittura, non ho seguito i dibattiti attorno a essa né i movimenti che ha suscitato. Io ho scritto per un bisogno di dire qualcosa. Ho dedicato al libro La messa molto tempo, è vero. Mi costarono, però, più tempo la revisione, lo sfoltimento e il taglio di molte pagine che il primo getto della scrittura. La necessità che mi sostenne fu il dire grazie a quanti in quegli anni mi costruirono, bene o male, come sono, tanto come prete che come uomo, con le vicende che vissero, morti e vivi, e assieme la necessità di dare la mia testimonianza su quegli anni.
Il filo rosso del racconto è proprio la gratitudine...
Godo che questo tema del Grazie che si stempera sempre in quello della gratuità sia stato visto come il tema portante. Tema su cui ho scritto abbastanza: Dialogo sulla gratuità e Gratuità fra cronaca e storia, editi dalla Morcelliana ed esauriti. Fra poco uscirà nella collana “Studi monastici” del monastero di Praglia Monologo partigiano sulla gratuità. Perché tutta questa attenzione? La risposta sta nel come sono arrivato alla scelta di sostenermi col lavoro senza dipendere dall Evangelo .
Già: anche se «l operaio ha diritto al suo cibo» (Lc 10,7; 1Tm 5,17), lei ha scelto di vivere col lavoro delle proprie mani: infermiere, benzinaio, traduttore…
Prete nel 1950, fui in parrocchia, insegnante di sociologia, assistente provinciale delle Acli, e mi toccò parlare di movimento operaio e di lavoro. Uscendo la théologie du travail di padre Chenu, la cavalcai benissimo. Ma sentivo che mancava una sorta di credibilità nel mio dire, finché, rientrato in diocesi, chiesi al mio Vescovo di entrare in fabbrica. Mi autorizzò e mi benedisse: il 5 febbraio 1968 entravo alla Montecatini di Spinetta Marengo. Lì esperimentai che la Chiesa non era credibile nel suo Annuncio perché lo legava a una domanda economica e di potere sul piano politico. Faccio una constatazione di fatto e non entro nel merito. Con la tuta indossai anche la decisione di non accettare più un centesimo per il fatto di essere prete. E cominciai lo studio su come la Chiesa nei suoi 20 secoli di storia avesse vissuto o patrocinato o ignorato la gratuità dell annuncio. C era, è vero, il gratis accepistis gratis dare, ma c era anche l esempio di san Paolo (1Cor 9,15). In effetti fui prete a causa della povera gente che attendeva dalla sofferenza e dal sangue della Resistenza un mondo di giustizia e di pace che non venne. Da quel punto di partenza, attraverso impercettibili passaggi (ogni avvenimento contiene una parola!) arrivai a dirmi che ormai per un prete il nome della povertà evangelica era quello della gratuità dell annuncio. Da allora ho sempre rifiutato, sfidando non baldanzosamente ma quasi col desiderio di scomparire, le incomprensioni che anche chi legge in questo momento può avere, ritenendole la reazione normale, quasi l unica possibile.
Cosa ha imparato, come sacerdote e scrittore, da queste esperienze?
Più che imparato posso dire che ho ricevuto. Fu una grazia continua. Anche qui, intendiamoci, non è che io sia divenuto migliore. Ecco, posso dire che non ho più paura delle mie opere e del mio peccato perché, proclamando Dio manifestato in Gesù, l unico Gratuito, mi sento salvato gratuitamente. Dirlo e ricevere un compenso perché lo si è proclamato gratuito, che senso ha? Per questo sono nella gioia. Gratuità e gioia hanno lo stesso DNA, chàris, la prima, charà la seconda.
Torniamo al libro. Don Luisito, questo romanzo ha raccolto consensi da L Unità e Liberazione fino a Il Giornale e La Stampa, da letterati, da credenti e non. A cosa attribuisce un giudizio tanto unanime?
Penso perché ho parlato all umanità senza strumentalizzarla a nessun fine d interesse, nella sua verità. E di Dio senza metterlo in competizione con l uomo essendosi fatto uomo. Forse il lettore ha ritrovato parte di se stesso nella sua verità in molti personaggi che affollano il libro e ne è stato in questo modo coinvolto. E questo indipendentemente dal dire di credere o no, perché anche Dio partecipa a questa grande avventura d essere uomini.
Cosa dire all attuale “Italia dei veleni”?
Che quanti dettero il loro sangue per ridarci dignità di popolo volevano un mondo nuovo, in cui avesse la precedenza il bene comune su quello individuale, in cui il mercato e l utilitarismo non avessero l ultima parola. Invece siamo nel vecchio mondo della menzogna, dello sfruttamento, della strumentalizzazione, della supremazia di tutto fuorché dell uomo. Posso presumere che anche quanti s opposero alla Resistenza e rischiarono la loro vita per un ideale non vi si riconoscerebbero.
E ai ragazzi che conoscono queste vicende solo dai libri, e non vivono più la grande catechesi della terra e del mondo rurale?
Vorrei che si sentissero continuatori di una storia. Che non dimenticassero che tutto quanto hanno l hanno ricevuto e che debbono dare il loro apporto perché la trasmissione continui migliorata e arricchita. Che cerchino di vedere in ogni oggetto conservato dei tempi passati la mano che l ha fatto, e ascoltino la voce che racchiude.
La memoria e i Morti sono altri due temi ricorrenti nel libro.
Rondine, un personaggio de , dice che sono i morti a portare i vivi, nella fatica, nei momenti di scoraggiamento e nella tentazione che il mondo vecchio della menzogna e dell egoismo sia più forte. Forse il nasconderci alla morte è il nasconderci alla parola che la morte dei martiri racchiude: costruire il mondo nuovo come il loro sangue richiede.
Don Luisito, lei non si sente romanziere ma ha tanta esperienza di vita: cosa direbbe a chi vuole scrivere, oggi?
In ginnasio il prof. Bertolazzi ci sollecitava ad avere lo spirito di osservazione. Quelle vacanze di Natale 1940- 41 ci dette come compito di scrivere una paginetta di diario. Per mio conto continuai. È un momento di verità. Fra la penna e la pagina bianca si stendono i pensieri più nascosti; metterli sul foglio aiuta a conoscersi meglio e a conoscere anche gli altri per quel fondo di umanità che si ha in comune. Si è portati così a vedere storie vere dietro la parvenza. La tesi sui salariati nel cremonese con interviste, fotografie, inchieste, mi portò a conoscere decine di cascine, a entrare in contatto con questo tipo d umanità, di ricchezze insospettate e sconosciute anche a se stessa. Ci fu la fabbrica. Tra un turno e l altro tenni un diario.
Ma l uomo è la migliore scrittura. Il metterla sulla carta, nero su bianco, è la gioia d incontrare se stessi e Dio nell umanità. E questa è la più bella storia, inesauribile. L importante però non è lo scriverla, ma l udirne e goderne.
La risposta non viene mai dalla regione ma dalla Storia
La messa dell uomo disarmato prende l avvio sotto forma di lettera. Franco, novizio dei benedettini, lascia il monastero e torna in famiglia per riflettere sulla propria vita. E scrive al suo maestro, nel frattempo sollevato dall incarico e mandato a Roma per studiare musica. Qui, tra meditazioni sull ascolto della Parola, Franco descrive il suo rientro nella Cascina La Campanella e il lavoro nella campagna. Sono pagine ricchissime, liriche a momenti, in cui le figure del padre e della terra sono accostate come quelle di due nuovi maestri che insegnano a Franco uno stile di vita costruito con azioni e silenzi. Mai con parole inutili.
Sottile, tra le righe, subentra la tragedia della guerra. Il fratello di Franco, un medico non credente, torna dagli scontri in Grecia per le lesioni subite. Le voci crescono, i timori si raddensano, giunge l armistizio: l 8 settembre 1943, dopo le prime reazioni entusiastiche, pesa con tutte le sue conseguenze. Molti uomini abbandonano il paese per le colline. È l inizio della Resistenza armata. In questa seconda parte del libro la voce di Franco, appartatosi in paese, tace: non più protagonista degli avvenimenti, la narrazione si fa ora impersonale e sposta la sua attenzione su quanti offrono la loro vita per la libertà. Rondine, Balilla, Stalino, ma anche i monaci dom Benedetto e dom Luca sono i nuovi protagonisti che l impellente chiamata della storia non trova impreparati. Pagine di scontri, di sangue, di eroismi simbolicamente trasfigurati, si alternano alla tensione di coloro che stanno ai margini della lotta.
La voce di Franco torna a dominare nella terza parte, domandandosi il significato del suo essere sopravvissuto, in disparte, ad avvenimenti tanto grandi. Uscire da questo empasse spirituale non sarà facile, ma porterà con sé risposte ormai insperate. Una Parola che non sarà svelata dalla ragione, e neppure dal cuore, ma dalla storia, «per pura grazia».
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