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Leggere il proprio mondo vivendo fuori d Italia |
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Enrico Palandri, l ‘Unità, 05.07.2005 |
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Giacomo Sartori scrive con molta forza e precisione del Trentino e dell Alto Adige. Di luoghi e momenti. Vive ormai da una ventina d anni a Parigi, ma il mondo che ha messo a fuoco nei tre libri che ha pubblicato fino a oggi (Di solito mi telefona il giorno prima e Tritolo con il Saggiatore e ora Anatomia della battaglia con Sironi) è quello delle sue origini. A questi tre libri si devono aggiungere altre pubblicazioni occasionali e un romanzo invece secondo me molto bello, che non ha ancora trovato un editore, che si intitolava quando lessi il manoscritto Il sacrificio e partendo da un atroce fatto di cronaca di alcuni anni fa (un uomo ucciso a bastonate da moglie e amante di lei in un parcheggio sul lago di Molveno), ricostruiva e immaginava la vita di una piccola comunità alpina.
Sartori appartiene dunque come e forse anche di più di Meneghello a quel tipo di scrittore italiano in cui la distanza dall Italia ha radicalizzato la sensibilità originaria. Altri, come Celati o Calvino, attraverso la distanza dall Italia hanno invece sfruttato l effetto parallelo, quello dello sradicamento, quasi per tagliarsi la corda che li teneva a terra. Sono effetti su cui sarebbe bene fare qualche riflessione più ampia e sistematica di quello che può riuscire a me, perché tra i fatti che certamente mutano nella vita italiana di questo inizio millennio c è sicuramente una delocalizzazione delle nostre esistenze. Quando vent anni fa si prendeva un aereo per Londra si andava davvero all estero, i voli Easy jet e Ryanair di oggi sono pieni invece di italiani che si spostano abitualmente tra Italia e Inghilterra, una specie che discende un po dal frontaliere ma che è di solito costituita dai tanti giovani molto qualificati che l Italia produce ma non riesce poi a impiegare e che quindi per crescere, professionalmente e civicamente, si sposta. Sarebbe del resto paradossale se, con i massicci flussi migratori in Italia di quest ultimo decennio, la mobilità Erasmus degli studenti universitari, i viaggi che si svolgono per lavoro, l idea di letteratura e letteratura nazionale non venissero trasformati.
Le reazioni sono due: a un lato dello spettro abbiamo la Lega, che ha incarnato in questi anni la nostalgia per una identificazione della propria idea di se stessi con una lingua e un territorio, come se il cambiamento che descrivo fosse qualcosa di periferico, marginale e quindi arginabile con la buona volontà di un attaccamento alle origini. Al contrario il movimento di queste migrazioni (le nostre verso l estero e quelle verso di noi) sono un motivo centrale, ineludibile, che determina la nostra politica estera e la nostra idea di noi stessi. In modo diverso Meneghello e Sartori ci hanno in questi anni fornito un idea del localismo che è un buon vaccino e una buona occasione di conoscenza per evitare di cadere nella trappola nostalgica, con impossibili recuperi di ciò che non è più o al contrario proiettando sulle valli Nord Orientali delle Alpi il terrore di una xenofobia diffusa. Con più affetto e garbo Meneghello, Sartori in maniera più dura ma altrettanto schietta, ci hanno impegnato a vedere i loro luoghi come parti del mondo. Come accennavo, questo è un modo di leggere il proprio mondo che nasce dal vivere fuori dall Italia a lungo e del dover fare della propria conoscenza delle origini una grammatica universale, che consenta di abitare a Londra e a Parigi senza diventare aspiranti Svizzeri, per usare un espressione di Celati in Cinema naturale vale a dire semplici imitatori d altro, e senza venire soffocati appunto dal rimpianto. Meneghello dice che l Alto Vicentino è la lingua dell umanità in cui è stata scritta la Bibbia, e coglie in questo modo perfettamente cosa sia l idea di origine. Proprio perché questo non è vero storicamente ma è vero per ognuno di noi, per tutti coloro che conoscono il conforto di una lingua madre, illumina la frattura che portiamo in noi tra reale e immaginario.
Dall altra parte dello spettro ci sono appunto Celati, Magris, Tabucchi, autori che hanno sfruttato il confine per forzare la macchina romantica a mostrare i suoi meccanismi, l opprimente identificazione tra lingua, cultura e territorio, aprire le ferite della non appartenenza. Forse l aspetto più doloroso dell ultimo libro di Magris e uno de fili conduttori dei libri di Celati da Le quattro novelle sull apparenza, e che è anche una condizione al centro dei personaggi di Tabucchi, è la continua frizione del luogo e del personaggio. In Celati a volte è comico, altre drammatico, ma persino dove lo affronta per mostrarci un territorio che gli è quasi natale (e ci ritorna spesso, da I narratori delle pianure a Verso la foce) in fondo ci sta dicendo che quel territorio non esiste più. Che il paesaggio si eclissa dietro la sua nominazione. Problema che si è posto in lui per la prima volta in Condizioni di luce sulla via Emilia. Il mondo stesso forse non esiste più, sotto le case che crollano, le industrie che inquinano, che persino l Africa sembra inghiottita dal mondo finto del turismo, da un immagine dell Africa. Contro il reportage alla Moravia, che guardava e raccontava, Celati ci ha detto che quel che vedeva scompariva e che questa scomparsa è il vero dato. Magris con le scelte di Alla cieca, di una lingua che spacca, come dice lui stesso, di un tentativo di dire io dal cuore di una storia che gronda sangue come nessun altra in Italia, fino al punto di sentire l inudibilità di altre urla, la storia svanisce quasi cancellata con un tasto del computer. Tabucchi riprendendo il filo dell inesistenza (da Calvino e da Pirandello) lo ha esplorato in una scomparsa nel viaggio (Notturno indiano, Sostiene Pereira).
Come con Sartori a me pare che raccontiamo e riraccontiamo un disambientamento, sia che lo individuiamo in un paese trentino sia che lo si descriva in un continuo spostamento. Sarebbe un tema da esplorare ancora, contrapponendo la Roma a cui è così profondamente legato Marco Lodoli al viaggio in Afghanistan di Edoardo Albinati, i luoghi immaginati come altrove e quelli che ci sembrano nostri, dalle ambientazioni esotiche di Alessandro Baricco ai percorsi realistici di De Carlo o Del Giudice. Sarebbe da chiedersi se questo movimento simmetrico, di radicamento e spaesamento, sia un ossessione maschile per il paesaggio che invece tende a restare periferico nelle narrazioni scritte da donne (Elsa Morante esclusa). Se sia un fatto mondiale, europeo o solo italiano, quasi che con la scomparsa di Ombrosa nella fine del Barone rampante di Calvino ci si sia trovati tutti iscritti in un corso che ha costretto la letteratura che ne ha sentito l influsso a misurarsi con un tema metafisico oltre che con il mutamento geopolitico che descrivevo prima. Certo pare quasi impossibile oggi "ambientare" il romanzo, come una sceneggiatura ambienta delle scene di un film. Il ramo del lago di Como e il Resegone sembrano lontanissimi e la scrittura di una narrazione si misura in modo sempre più problematico con la costruzione dei luoghi in cui si svolgono le storie.
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