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Un esordio letterario nel segno di internet |
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Loredana Lipperini, La Repubblica, 24.01.2003 |
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L’elenco telefonico di Altantide è l’opera prima del quarantacinquenne Tullio Avoledo, è stata appena pubblicata da Giulio Mozzi per Sironi Editore (pagg. 525, euro 17) ed è già in ristampa dopo il primo giorno di uscita in libreria. Grazie a quali ingredienti? Per cominciare, c’è una banca di provincia (la Cassa di credito cooperativo del Tagliamento e del Piave) che viene riassorbita dalla potentissima Bancalleanza, con conseguente dispiego di glaciali finanzieri e implacabili tagliatori di teste di cui resta vittima il legale della banca, Giulio Rovedo. Un romanzo sulle sciagure da new economy? Forse.
C’è, ancora, un condominio che si chiama Nobile a dispetto dei suoi abitanti: oltre allo stesso Rovedo, che usa solo saltuariamente il suo appartamento, molta di quella che un altro scrittore, Romolo Bugaro, avrebbe chiamato la brava gente della nazione. Più un personaggio decisamente fuori posto: l’architetto Fabrici, che in realtà non possiede laurea, è disoccupato, omosessuale, alcolizzato, sieropositivo e in odio a tutti i vicini. Siamo allora in un reality letterario sull’impossibilità della convivenza civile? Anche.
Tanto più che lo stesso Rovedo è un protagonista meschino: non è politicamente corretto, mette la benzina verde anche se non ha la marmitta catalitica, si chiude in camera a navigare su Internet invece di parlare con la moglie, non è quel che si dice un amico esemplare e coltiva strane manie, tra cui quella di inviare lettere a personaggi famosi per collezionarne gli autografi (per esempio, e non è un caso, quello di Arthur C. Clarke).
Ma L’elenco telefonico di Altantide non è un romanzo sul mondo reale: o meglio, non lo è in modo così diretto. Perché, dopo poche pagine, il titoletto “I protocolli degli anziani di Chtulu” mette il lettore sull’avviso: e se i Grandi Antichi di Howard Phillips Lovecraft non sono direttamente evocati, buona parte dei loro colleghi non manca all’appello. Demoni egizi e divinità malefiche. I Rosacroce. Gli Arconti. Il Graal. L’Arca dell’Alleanza. Complotti
Interplanetari. Nazisti. Leghisti (veri). La fonte dell’eterna giovinezza. Più una febbrile panoramica sul versante dell’ucronia: i mondi paralleli dove la seconda guerra mondiale è stata vinta da Hitler, le storie mai realizzate ma possibili, tutto quanto, insomma, dalla fantascienza si è recentemente trasferito nell’immaginario ludico, ma anche in alcuni filoni della storia ufficiale e del pensiero contemporaneo.
Il romanzone di Avoledo, che ha reso felicemente insonni le notti di più di un recensore e che è già oggetto di culto nei siti Internet che si occupano di letteratura, è anzitutto l’irresistibile spia di un processo di costruzione sempre più perseguito nella narrativa italiana, e messo in moto già a metà degli anni Novanta. Quando Stile Libero di Einaudi pubblicò, nel 1996, la famigerata antologia Gioventù cannibale, furono in molti (tra una polemica e l’altra) a sottolineare come il linguaggio utilizzato dai diversi scrittori avesse un punto in comune: si coniò, all’epoca, la definizione di “miscuglio del simultaneo” per indicare come nella quotidianità descritta dai narratori non entrasse soltanto il reale tangibile, ma anche l’immaginario vissuto come reale. Per farla corta, le visionei e le parole della musica, dei fumetti, dei cartoni, del cinema, dei videogiochi avevano pari dignità rispetto ai fatti e ai dialoghi fino a quel momento ritenuti realistici. Oggi la contaminazione tra mondi e linguaggi è diventata sottile e viene praticata a livelli diversi: diviene raffinatissima quando reale e fantastico si fondono in un passato più o meno remoto, come avviene nei libri di Wu Ming o di Valerio Evangelisti; risulta forse meno pensata e messa in secondo piano dal contagioso entusiasmo di chi si tuffa per la prima volta dalle montagne russe nel caso di Tullio Avoledo. |
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