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Tra Friuli e Veneto: ecco un complotto per la secessione.
Paola Colombo, Messaggero Veneto, 20.01.2005
Tullio Avoledo, la secessione diventa romanzo
Esce oggi in libreria, nella collana Questo e altri mondi, di Sironi, il terzo libro dello scrittore friulano Tullio Avoledo, Lo stato dell’unione. Nato a Valvasone nel 1957, Avoledo è laureato in giurisprudenza. Sposato, due figli di otto e tre anni, lavora a Pordenone nell’ufficio legale di una banca. Come molti ricorderanno, la sua prima opera, L’elenco telefonico di Atlantide, complice anche un’entusiastica recensione di Antonio d’Orrico pubblicata dal Corriere della Sera, ha premiato il coraggio dell’editore milanese con un grande successo nelle vendite. Protagonista del suo terzo romanzo è Alberto Mendini, un pubblicitario cinquantenne un tempo sulla cresta dell’onda e ora in disgrazia per aver denunciato una ditta produttrice di alimenti per l’infanzia che commercializzava prodotti contenenti sostanze cancerogene. L’assessore alla cultura di una non ben specificata Regione -potrebbe essere una qualsiasi italiana- gli chiede di organizzare la campagna per l’Anno dell’Identità Celtica, in cambio di una considerevole somma di denaro. Mendini accetta il lavoro nonostante i dubbi. Con il tempo scopre le tracce di un’organizzazione separatista internazionale che mira alla secessione del Nord-Est, un complotto che finirà per travolgerlo, tra omicidi, morti che parlano, astronauti americani in esilio, avventure exrtraconiugali. Nel finale però tutte le prospettive si ribaltano. Ne parliamo con l’autore.
- Come è nata l’idea di questo suo nuovo romanzo?
« E’ nata da un discorso tra amici a Lignano, un giorno d’estate di due anni fa, in occasione di un corso di scrittura tenuto da Alberto Garlini e Giulio Mozzi. Parlavamo dei miti celti e dello spreco delle risorse regionali. Mozzi, inoltre, per l’occasione aveva scritto un racconto in cui descriveva una serie di villette immaginarie di Lignano, tra le quali la più strana era quella di un ex astronauta della Nasa. Sono nate così le due trame principali del libro, che è ambientato in una regione immaginaria, posta al confine tra il Friuli e il Veneto, dove i politici governano per mitologie, disinteressandosi della realtà e della verità. E dove Neil, il miglior amico del protagonista, racconta di essere l’unico uomo ad essersi avvicinato alla Luna in quanto lo sbarco non è ai avvenuto. Il romanzo è costruito tutto intorno a queste due bugie. Ho cominciato a scrivere quello stesso giorno, dimenticandomi del compleanno di mia moglie, e il libro si è quasi scritto da solo. Lo sentivo molto».
- Possiamo classificarlo come un romanzo di fantapolitica?
« Si, ma non solo. Il libro lavora su più livelli. Ha la struttura di un giallo, ma è anche un thriller parapsicologico e una bella storia d’amore. E’ costruito su di una spirale e si chiude con un rewind che capovolge il punto di vista. Mi piace giocare con tanti generi. Anzi, credo che la contaminazione dei generi rappresenti il futuro della narrazione. La realtà è in continuo mutamento e anche lo scrittore, a mio avviso, deve godere di grande libertà, se vuole essere ancora seducente per il pubblico».
- Il moltiplicarsi degli orizzonti narrativi comune a tutte le sue opere è, dunque, una necessità?
« Sicuramente rappresenta il mio modo di scrivere. Non amo le trame lineari»
- Qual è allora oggi, secondo te, la funzione della letteratura?
« Condivido pienamente due pensieri di Kurt Vonnesgut, che sono poi stati ripresi anche da Gore Vidal. Lo scrittore è come il canarino che i minatori portavano con loro in miniera per avvertirli, con la sua morte, delle fughe di gas. Ha la funzione di un campanello di allarme. La sua supposta maggior sensibilità deve saper cogliere quei segnali che ci sfuggono nella quotidianità. La denuncia poi, non viene mai considerata dai politici del tempo, ma esercita indirettamente la sua influenza sulla classe dirigente del futuro. Lo scrittore, per così dire, semina soprattutto nei giovani, in coloro che operano nel futuro. Personalmente il mio scopo è soprattutto quello di divertire, di scrivere un testo che piaccia, che tanga incatenato al libro il lettore. Se, nel fare questo, riesco anche a trasmettere un messaggio, l’opera ha un valore aggiuntivo».
- Cosa la preoccupa?
« Vi sono molti pericoli incombenti. La civiltà è un lusso, una patina molto sottile; alla prima difficoltà tutto si rompe. Basti pensare, per esempio, a cosa è accaduto pochi anni fa a due passi da noi, nell’ex-Jugoslavia. E la nostra regione, a mio avviso, rappresenta una sorta di laboratorio di quel che sarà il nostro Paese tra qualche anno, soprattutto a livello di convivenza- e dunque di tolleranza- con gli immigrati».
- E qual è il messaggio de Lo stato dell’unione?
« Ho lavorato su quello che, in fondo, era il tema del mio primo libro. Cosa resta di noi dopo la morte? Sebbene sia personalmente scettico, ho cercato un modo per suggerire che, dopo, ci sia la vita. Ho voluto provare a offrire questa possibilità. Del resto, proprio in questo periodo, vicino al giorno della memoria della shoah vedere tante immagini di bambini innocenti andati incontro alla morte e pensare che per loro, e per tanti come loro in altre situazioni, non ci sia un dopo diventa un’idea intollerabile. Il titolo del libro, poi, suggerisce un’altra chiave di lettura che è quella del senso del dovere, sia a livello politico, sia personale. In ogni caso, l’occhio verso i personaggi è sempre comprensivo, compassionevole».
- Può anticipare i suoi progetti futuri, a cosa sta lavorando?
«Nel mio prossimo romanzo voglio affrontare il tema del male e della giustizia internazionale. Viviamo in un mondo bizzarro; siamo a contatto con l’orrore e non ce ne accorgiamo. Accade così, per esempio, che una bambina possa morire di fame a Bari senza che nessuno dica nulla. Di fronte al male poi, siamo inermi. La società democratica e civilizzata a mio avviso non sa gestire il male. Il protagonista del mio prossimo romanzo sarà un burocrate, un sostituto procuratore che, a causa di un attentato al suo superiore, dovrà affrontare in prima persona la condanna di un “mostro” per crimini di guerra. La pubblicazione, se tutto va bene, è prevista per il prossimo novembre».
- Non si può dire che per lei la scrittura sia una fatica… come la concilia con la sua professione?
«Sono due compartimenti stagni, una sorta di matrimonio che funziona sulla base del reciproco rispetto. Per fortuna ho un orario flessibile. Certo la scrittura ruba tempo alla mia famiglia, allo svago, allo sport. Ma scrivere mi diverte, è quello che so fare».
- Che rapporto ha con i suoi lettori?
«Buono, direi. Mi piace soprattutto il fatto di essere seguito molto dai giovani. Mi rendo conto, però, di essere uno scrittore atipico. In genere il lettore sa cosa si può aspettare da un autore che ha già letto. Io posso, invece, anche deludere le aspettative e ho quindi maggiori difficoltà a crearmi un pubblico, per così dire, stabile. Amerei molto essere considerato uno scrittore friulano. A livello di formazione, mi è molto cara la lezione di Elio Bartolini. Nei miei romanzi ho sempre cercato di fare entrare la mia terra. Il secondo, in particolare (n.d.r. Mare di Bering) rappresentava una sorta di grido di dolore per il Friuli che ora non esiste più.
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