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Il venerdì di Francesca |
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Francesca Mazzuccato, Mentelocale.it, 26.11.2004 |
Mentelocale.it |
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Cuore di cuoio è l'ultimo romanzo dello scrittore Cosimo Argentina, Sironi Editore. L'ho avuto in dono ieri sera, verso mezzanotte. Ero a Cesano Maderno in un grande albergo addobbato per il natale con luminarie vistose. Dalla finestra si vedeva una superstrada e avrei potuto trascorrere parte della mia notte solitaria a guardare. A spiare passanti notturni, tir e macchine, una cosa che faccio spesso e che mi piace. Ho pensato di iniziarlo in treno, la mattina dopo, ma poi la curiosità di aprirlo, annusarlo, leggere le prime righe è stata più forte. Hanno questi poteri, i libri, e da quando l' ho avuto in mano questo libro non ho potuto smettere di leggere. Non ce la facevo proprio.
In questo libro, Cosimo Argentina, scrittore schivo e raffinato, pieno di garbo e di una grazia rara che seguo dall'inizio e di cui ho sempre molto apprezzato i libri, Il cadetto, Marsilio 1999 e Bar Blu Seves, Marsilio 2002, compie un miracolo. Un miracolo vero, state a sentire.
Scrive una storia ambientata a Taranto dove si parla di un gruppo di amici, i compari, dove il calcio è passione assoluta, metafora, motivo dominante, dove il sogno è diventare calciatore professionista nonostante l'opposizione del padre e il desiderio della madre di fare del figlio un musicista; Argentina scrive una storia che parla di queste cose e la rende una storia universale. Una storia che ne contiene altre, moltissime altre. C'è tutto, dentro. E questo avviene grazie al linguaggio. Che è il miracolo che dicevo. E siccome non accade spesso che si leggano libri dove il linguaggio raggiunge livelli di questo tipo capaci di rendere una storia universale, struggente e commovente, erotica e sentimentale, io vi dico leggetelo, compratelo. È un italiano impastato di dialetto e di storpiature efficacissime, il gergo dei ragazzi, la lingua sciatta della città, quella della burocrazia, della anziana puttana, che ti colpisce. Uno stile che ti fa stupire di tali virtuosismi e di tale bravura come se fossi al circo a guardare i funamboli.
E leggendolo, anche se non sei mai stato a Taranto, e non hai mai giocato a calcio e non l' hai mai seguito più di tanto, ti senti toccato, capisci che ci sono cose che riguardano anche te, fra quelle pagine, tanto da commuoverti. Perché questa storia di ragazzini di quattordici anni è la mia, la nostra, quella di tutti. Perché questa storia di ragazzini e passioni è una favola ma è anche un affresco di una Italia che si sta perdendo, sfilacciando, avvilendo, modificando. Un' Italia confusionaria, zoppicante, fatta di urla dal balcone, di affetto manifestato con malagrazia, di professoresse, anzi ssoresse inadeguate, di vicepresidi bruttissime descritte con abilità magistrale, di ricchioni inoffensivi che si deridono perché lo fa il branco. Una bella Italia, una bellissima umanità, dove svetta la mitica puttana di 65 anni, zia Maria “La puttana più famosa del quadrilatero... è Zia Maria, una bionda alla Carmen Villani, con gli occhi pittati di nero e blu, il rossetto da clown e le unghie di piedi e mani rosso sangue coi bordi neri di sivo. Tiene 65 anni, zia Maria, ...si mette sempre un vestito nero di pizzo senza maniche e passa le giornate e le serate affacciata a una finestra al piano terra di un vecchio palazzo col cornicione scassato. Azzecca marinai e rattusoni vari con la sua frase di battaglia “ Mi vuoi? Ti faccio uscire che le gambe ti fanno giacomo giacomo”. Le menne le tiene enormi e molli e profumate come le auto dei ricottari...”
In questa descrizione c'è parte del mondo che Cosimo Argentina racconta nel suo bellissimo ultimo libro, che cattura e seduce, in un montaggio calibratissimo e serrato, dalla prima all'ultima pagina. La mamma del protagonista lo voleva musicista, beh, nelle pagine, fra le righe, si ritrova una musica sicuramente diversa da quella a cui pensava la mamma di Krol (che si chiama Camillo in realtà ma nel libro rinomina il suo mondo, i suoi amici, le persone attorno ricreandosi una realtà pirotecnica e affascinante e tutti lo chiamano così), diversa certo, ma sempre una musica, dura, tosta, più vicina all'hip hop o al rap che al classico, ma capace di commuovere, di far ridere ad alta voce e di far arrivare il lettore alla fine con un pizzico di nostalgia malinconica, con la voglia, rara, di ricominciarlo da capo. Il talento, la finezza e il coraggio di Cosimo Argentina si superano in questo romanzo anche rispetto alla ragguardevole produzione precedente, lasciandoci un libro destinato a restare (sugli scaffali, sottopelle, fra le cose più significative della narrativa contemporanea).
francesca.mazzucato
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