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...Taranto romanica |
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Elio Paoloni, Corriere del mezzogiorno, 12.10.2004 |
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Nell’annosa contrapposizione Lecce-Bari, si tratti di tifoseria calcistica, distinguo tra scrittori salentini e scrittori “genericamente” pugliesi (cioè baresi) o corsa turistico-immobiliare al trullo piuttosto che alla costa gallipolina, sembra essere scomparsa una città, anzi una provincia intera. Di Taranto, nonostante il tentativo di riparazione di Winspeare, che lì ha ambientato il suo Miracolo, ci si ricorda solo quando c’è da additare i veleni del siderurgico o rammentare le malefatte di Cito, il sindaco più impresentabile in società (oltre che il più efficiente, sussurrano in tanti). Anche i provinciali degli altri due capoluoghi avrebbero da lamentarsi ma i tarantini hanno un motivo di lagnanza in più: la loro provincia resta fuori fuoco anche quando si affronta l’argomento principe, quell'esplosione di vini salentini che il più delle volte salentini non sono. Il fatto è che buona parte della provincia magnogreca viene considerata (non a torto, geograficamente parlando) territorio salentino. Ma non lo è. Culturalmente Taranto è somigliantissima a Bari: il porto, la mistica del pesce crudo, la città vecchia intesa come zona malfamata. Anche la parlata, con i suoi scoppi sordi, è molto più vicina a quella barese che alla leccese. Martina Franca, punto di riferimento dei tarantini, è già Puglia nord: il suo barocchetto non ha nulla a che vedere con quello leccese.
E lo stile dello scrittore tarantino Cosimo Argentina è quanto di più lontano dalla fluidità - dalla inarrestabilità - di scrittori come Livio Romano o Francesco Lanzo. Altro che barocco, qui siamo nel romanico, nella struttura a vista, nel rifiuto meticoloso dell’ornamento. Scabro, tagliente, questo Cuore di cuoio edito da Sironi, (con soli 13 euro avrete diritto, oltre alle 204 pagine, anche a una bellissima copertina di Pintér). Chissà perché, volendo a ogni costo cercare accostamenti, lo scrittore che mi viene in mente è Hemingway. Sarà per i dialoghi secchi, sarà perché i ragazzi di questo quartiere popolare tarantino negli anni '70 inscenano una sorta di parodia del machismo (chi non conosce il dialetto pur essendo di Taranto è considerato ricchione; chi non mangia le cozze crude col limone è ricchione; chi chiude la porta delle docce quando si lava è ricchione), relazionati al mondo solo attraverso lo sport, con le ragazze che vengono solo dopo il pallone e gli amici (un terzo posto onorevole, direi) e portatori di un sovradimensionato quanto inconsueto concetto dell'onore (a volte il giovedì alcuni di noi vengono chiamati per giocare con la prima squadra. Quello è un onore. E' come quando giochi sotto casa e tu fai le squadre: anche quello è un onore).
C'è bisogno di una chiave per dare un senso alle cose. I ragazzini, come gli scrittori, ne vanno in cerca e i quindicenni di Argentina l'hanno trovata nel cuoio del pallone da calcio, l'unico oggetto che può ammorbidire il loro muscolo cardiaco, anch'esso (almeno apparentemente) indurito: perciò non solo si affibbiano alle ragazze i nomi delle squadre di calcio straniere (dall'inevitabile Benfica a Dukla Praga) ma si finisce per intravedere un tiro all'incrocio di Pruzzo perfino nelle macchie sul pavimento. Le guerre d'indipendenza acquistano importanza perché si son fatte contro gli antenati di Prohaska e il tempo è scandito dai calendari di campionati, coppe e tornei, vere feste comandate. Delle feste canoniche si onora un po' la Pasqua, perché Natale è bello con la neve ma a Taranto la neve non si sa cos'è e poi (se proprio si vuol buttarla sulla religione) a Pasqua c'è il "salto di qualità", che "tutti so' capaci a nascere ma pochi sanno risorgere, soprattutto se per farlo devi spostare 'na cazz' di chianca". Le bombe che attraversano i notiziari non fanno più rumore dell'accostamento del Taranto, nel girone finale di Coppa Italia, a "Milan, Napoli e, udite udite, Juve" e solo alla notizia del rapimento Moro i ragazzi del rione restano sgomenti: ritengono si tratti di Adelio Moro, centrocampista dell'Ascoli.
Il rione Italia Montegranaro è così autoreferenziale che non sembra neanche far parte di un gran porto di mare - anzi di mari - (il mare è là e noi qua, nel quartiere, e 'u pap' ste a Roma: punto e basta") ma Bari resta un punto di riferimento: lì, a nemmeno ottanta chilometri, già si ascoltano Chet Baker e Rolling Stones, "aqquà invece se la fanno con Rosanna Fratello". Certo non ci si sognerebbe mai di imitare la scelta della birra (quelli di Bari si fanno di Peroni) perché la birra Raffo non sarà una gran birra ma è di Taranto (è 'na birra rossoblu). Presto, in ogni caso, le sfere di cuoio si sgonfieranno e il mondo circolare del quartiere sarà rimesso in quadro dalle presenze femminili, coscienziosamente suddivise in dieci categorie.
Nel libro c'è forse qualche termine dialettale di troppo ma le scelte lessicali sono rigorose, sempre vere, sempre colorite (le chiappe sono come due enormi pagnotte di pane di Laterza). Quando c'è da usare un registro appena più alto, Argentina ricorre a Panzerotto, l'unico personaggio acculturato, e se non è disponibile sulla scena lo fa evocare dall'io narrante, col sarcasmo di chi diffida del linguaggio forbito: "mi viene il bagno quando la gente non parla chiaro… poi IL TEMPO PARLA CHIARO: anno dopo anno diventano tutti come i miei . E' allora che partono l' pird', i rutti, le bestemmie, le chiattone comprano i vestiti nuovi e i mariti arrazzano per le femmine giovani e le chiatte pensano di risolvere tutto facendosi bionde o comprando quelle mutande da pugnetta a due mani".
Bisogna essere grati a Cosimo Argentina: in un paese malato di calcio come il nostro la quantità di romanzi con palla al centro è scandalosamente bassa. Figurarsi che tra i migliori ce n'è uno scritto da un inglese (benché veronese adottivo). Sarà perché da noi chi scrive si è sempre nutrito di libri, snobbando o addirittura demonizzando sia l'attività fisica (muscoli e competitività, che orrore) sia la campanilistica, oppiacea fruizione passiva. Finora ci si era potuti rivolgere solo a uno sport nobile e rigorosamente tifo-esente come la maratona (vedi l'eccellente A perdifiato di Mauro Covacich). Ma qualcosa si muove: di cuoio sono anche i Sogni del titolo di un film uscito in questi giorni e prodotto da una società salentina.
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