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Avoledo, il bancario che si ispira ascoltando la gente. Carlotto, il detective di anime perdute |
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Anita Loriana Ronchi, Il Giornale di Brescia, 04.04.2004 |
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Il Festival della letteratura poliziesca chiude i battenti al Sancarlino dopo dieci giorni di dibattiti, musica e arte
L’Italia raccontata dal giallo d’autore
Tullio Avoledo, nel suo intervento al Sancarlino, intervistato da Camilla Baresani |
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Un finale in grande stile per l’ultima giornata del Festival della letteratura poliziesca "A qualcuno piace giallo", promosso dalla Provincia e curato da Magda Biglia, Carla Boroni, Sonia Mangoni e Milena Moneta. A chiudere la quarta edizione della manifestazione, dedicata quest’anno al 70° anniversario della prima avventura del Nero Wolfe di Rex Stout e durata ben 10 giorni (con un avvicendarsi di ospiti illustri, scrittori, attori, performance letterario-musicali e persino un talk-show sul rapporto tra giallo e mondo del calcio), sono stati ancora due autori di talento: Tullio Avoledo, che con "Mare di Bering" sta bissando il successo del primo (e decisamente riuscito) romanzo "L’elenco telefonico d’Atlantide"; e Massimo Carlotto, considerato ormai uno dei maggiori autori di genere in Europa. Avoledo, che di professione fa il legale in una banca del Nord-Est, è stato intervistato dalla scrittrice bresciana Camilla Baresani, che ne ha commentato le capacità narrative, sottolineando l’aspetto di una "lingua moderna ed efficace, che non consente d’inquadrarlo in una categoria ben definita, ma di ascriverlo piuttosto alla tradizione del romanzo tout court". Per lo scrittore la forma "dev’essere strumentale alla storia ed il lettore dev’essere messo in grado di andare al cuore delle cose descritte". Una "fonte inesauribile" d’ispirazione - aggiunge - gli deriva dai "vezzi linguistici" ed altre amenità captate nelle telefonate "che dobbiamo subire quando siamo in treno". Le trame dei suoi romanzi sono "architetture complesse", nota ancora, e a ragione la Baresani, ma il ritmo del "Mare di Bering" appare già più veloce, come se a monte vi fosse una maggiore capacità di "lasciarsi andare", meno attenzione al costruito e più spazio al divertimento personale. "In effetti i miei libri si scrivono da soli - ammette Avoledo, che dichiara di amare sopra a tutti Ed McBain e che ha già in programma la pubblicazione di un terzo titolo, "Lo stato dell’Unione" -. L’ultimo è nato una mattina in cui stavo andando al lavoro a Pordenone: viaggiavo a 90-100 chilometri all’ora, ascoltavo musica e, ad un certo punto, sono stato attratto dall’anfiteatro di montagne e nuvole che mi circondava. È stato un attimo immaginare un ragazzo di 25 anni (il protagonista Mika) a bordo di una Due Cavalli, che attraversava questo scenario. Le idee, poi, si sedimentano durante la giornata e le ritrovo alla sera, quando posso finalmente scrivere". Le sue trame rappresentano un mix di elementi: personaggi fantasiosi, gioco, ironia, storia ed esoterismo… Una scelta coraggiosa, forse, per un esordiente, ha notato l’intervistatrice, ma che, in questo caso ha decisamente funzionato. Ne "L’oscura immensità della morte", Massimo Carlotto affronta temi importanti, con lo stile asciutto e tagliente che lo rende inconfondibile. Gremito l’auditorium per lo scrittore padovano, intervistato da Paolo Petroni dell’agenzia Ansa, che ha suscitato anche perplessità (come è risultato dalle domande del pubblico) per posizioni esternate circa il duplice fulcro del suo romanzo: verità e giustizia. È la storia di due uomini - Silvano Contin e Raffaele Beggiato - le cui esistenze s’incrociano e si avviluppano irrimediabilmente in seguito ad un fatto terribile e accidentale: l’uccisione, nel corso di una rapina, della moglie e del figlio del primo. La vita di Contin è distrutta; Beggiato finisce in carcere, dove resterà per 15 anni, fino a quando, colpito da un male inguaribile, chiede la grazia e il perdono di Silvano. Scatta, a questo punto, un meccanismo feroce che implica l’istinto della vendetta, l’evidenza del male, il ruolo della società. "Ho posto a confronto due persone: la vittima e il carnefice - spiega Carlotto -. Sono profondamente convinto che il poliziesco sia uno straordinario mezzo per raccontare l’Italia di oggi e aprire un conflitto con i lettori, nel senso di stimolare una riflessione su alcune questioni fondamentali, nello specifico sulla deriva giustizialista che connota il Paese". Molte cose, secondo l’autore, sono da dire sul carcere, definito "hotel a 4 stelle", ma in cui s’avvera "il più alto numero di suicidi", mentre "langue la riforma carceraria" e la pena "è ormai soltanto uno strumento repressivo". Carlotto scrive anche testi per il teatro e, ha detto ieri, dal suo "Arrivederci amore, ciao" stanno per essere tratti un film e un doppio volume illustrato a fumetti. |
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