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Nella speranza della resurrezione |
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Giovanni Choukhadarian, L'Indice dei libri del mese, 01.02.2004 |
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La proposta di un romanzo epico |
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Prima di tutto, diffidare dai paratesti. Questa Messa dell’uomo disarmato sarebbe, da sottotitolo, un romanzo sulla Resistenza. Non lo è, o almeno non lo è nel senso dei Banditi di Piero Chiodi, del Granello di sabbia di Luciano Bolis o dell’indimenticabile Guerra partigiana di Dante Livio Bianco (che però è stato dimenticato anche dal suo editore, e meno male che ne è serbata memoria nelle valli del Gesso, dalle parti di Valdieri, in provincia di Cuneo).
Meglio partire dal titolo. Come spiega Marzio Pieri nella postfazione, si tratta di una citazione dalla polifonia rinascimentale. Messe de l’homme armé sono state composte, fra gli altri, da Guillaume Dufay, Josquin Desprez e Johannes Ockeghem. Questo romanzo di quasi 900 pagine è senz’altro una Messa ma, anche non concedendolo, bisognerà almeno prendere atto che ogni singolo atto della Messa dell’uomo armato ha connotazione liturgica. Don Luisito Bianchi scrive questo lunghissimo racconto nella luce del Vaticano II e, in particolare, della costituzione Sacrosanctum concilium: quella, per intendersi, che ha consentito l’uso dell’italiano nelle celebrazioni eucaristiche. Ciò consente di meglio intendere le innegabili lentezze dell’intreccio, che sono in vero consustanziali alla solennità di cui ogni singolo evento è rivestito; e spiega in particolare le asperità del primo tempo (il libro è infatti diviso non già in parti ma, come una composizione musicale, in tempi), cosparso di abbondanti citazioni nel bel latino medievale della Regula Sancti Benedicti.
Nella Messa di don Luisito, le simpatie vanno senz’altro agli umili e agli ultimi, spesso elevati al ruolo di eroi. Su tutti, spicca la figura di Rondine, icona cristologica di contadino che ‘non ha famiglia né mestiere’ e offre il suo corpo per salvare la vita del medico Piero: “Si parò davanti a Piero per gettarlo a terra e coprirlo. Due raffiche partirono nello stesso istante. Il giovane milite si rovesciò sul suo amico. Piero sentì il tepore del sangue di Rondine rigargli il volto e penetrare lentamente dal collo giù fino al cuore”.
Che senso abbia la figura di Rondine è spiegato da don Bianchi: “Per rinchiudersi nella morte di Rondine, la Parola convocò a testimoni della sua opera non solo i vivi ma anche i morti, tanto preziosa doveva risultare ai suoi occhi”. E’ in queste righe che pare debba ritrovarsi un centro tematico della narrazione. La Messa non si configura come un libro sulla guerra di Resistenza ma una celebrazione, che in quanto tale ha i modi propri della liturgia, e di quella più maestosa. In seconda istanza, è il racconto della speranza in una resurrezione. Quella che di un’intera comunità rurale alla caduta del fascismo, certo attraverso la Resistenza, a patto di leggerla come la grande tribolazione di Ap 7, 14b; ma insieme quella per cui i figli dei partigiani crescono poi in un dopoguerra di agiatezza, lontani oramai dalla casa avìta della Campanella eppure legati alla loro infanzia per via di radici misteriose e intestirpabili. Una terza resurrezione è quella di Franco, fratello di Piero e voce narrante del primo e del terzo tempo. Abbandonato il monastero per tornare al mestiere di contadino, vi rientra in età adulta e chiude il romanzo dicendo finalmente Messa, cioè proclamando la Parola nella cui ricerca aveva trascorso tutta la vita.
Nella Parola risiede d’altronde il nucleo problematico di questa Messa. La Parola non è soltanto la Scrittura ma, come spiega don Bianchi per bocca di Franco, “entra negli avvenimenti più ambigui, perfino in quelli di peccato, per agire dall’interno e darci il senso della nostra indigenza. La Parola s’umilia, s’annichilisce anzi, prendendo la forma di schiava; non rifugge l’avvenimento carico della miseria umana ma lo penetra per farcelo comprendere nella sua reale dimensione di peccato”.
La voce e il tono della Messa dell’uomo disarmato sono, come si vede, quelle dell’epica, che è soltanto in superficie un’epica della terra, dei suoi ritmi e delle sue stagioni. Quella che don Bianchi racconta è infatti un’epica del mistero, dove il mistero rimane quello del catechismo di Pio X: una verità superiore ma non contraria alla ragione, alla quale credere in quanto è stata rivelata da Dio. Anche per questo (ma non solo), non è illegittimo identificare il lettore implicito di questo romanzo in un cattolico, meglio se fornito, con Pascal, di “spaventosa ignoranza”.
Partitura corale eseguita all’unisono, La messa dell’uomo disarmato non accetta omologhi letterari e rimanda piuttosto alla II sinfonia di Mahler, intitolata appunto alla “Resurrezione”, di cui l’autore scriveva: “Non ci sono punizioni né ricompense. Un amore sovrastante illumina il nostro essere. Noi siamo e conosciamo”. Quasi alla lettera, lo riprende Franco/don Luisito in clausola di libro: “Ho fretta di trascorrere i due giorni che mi rimangono fra queste mura di millenaria Resistenza, con la mano sulla bocca, come Giobbe dopo la contesa che proclamò la signoria della Parola, in contemplazione di avvenimenti che non capisco ma che ho cominciato a comprendere; meglio, che hanno iniziato a comprendermi, per pura grazia”. |
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