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I ragazzi del Mucchio |
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Domenico De Gaetano, Il Giornale della Musica, 01.10.2003 |
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A prima vista I ragazzi del mucchio, il romanzo d’esordio di Silvio Bernelli, è un appassionante libro “musicale”, di quelli che stanno avendo una inaspettata fortuna editoriale, in questi ultimi tempi. Eppure, non è la solita biografia romanzata di un gruppo rock, né il racconto di un road manager in tournée con una star, né tanto meno un instant book sul fenomeno musicale del momento.
La storia, vissuta e raccontata in prima persona dal protagonista, è quella di un adolescente qualunque, alle prese con la scuola (poco interessante) e la famiglia (non lo capisce ma non lo ostacola), che decide di seguire i propri sogni imbarcandosi, insieme ad un gruppo di fedeli amici, in una avventura musicale che cambierà per sempre il corso della sua vita. In fondo, formare una band musicale non è il sogno di molti ragazzi che imbracciano una chitarra?
In questo caso, quel gruppo di amici forma tre delle migliori hard core band che abbiano mai animato la scena underground italiana negli anni ’80: Declino, Negazione e Indigesti.
Almeno inizialmente, suonare sembra giusto a metà tra un gioco divertente e un atto di ribellione giovanile, un po’ come collezionare rare fanzine di importazione o comprare dischi dei Black Flag, Bad Brains, Circle Jerks o Suicidal Tendencies. Ma ben presto la loro avventura esce dallo scantinato della periferia di Torino e dai primi concerti al Centro d’incontro Vanchiglia l’azione si sposta nel tempio del punk, il Virus di Milano, e nella più attiva scena musicale europea di inizio anni ’80. Ed ecco, dunque, i pomeriggi passati a provare, le prime date importanti, le immancabili defezioni, le tournée su furgoni sgangherati e sacchi a pelo, i concerti in città fredde come Amsterdam e Copenhagen, dove si incontrano bellissime “Fate Nordiche” e si dorme in poco rassicuranti case occupate.
Non mancano momenti leggeri così come risse con i tutori dell’ordine, con tanto di irruzione al Consiglio Comunale. Ma alla fine la grande scommessa, la sfida che vale una vita: suonare nella città dove quel tipo di musica è nata, Los Angeles. Cosa può esserci dopo, quando stanchi e affaticati tornano a casa dopo una tournée in America?
In uno stile secco e asciutto, Bernelli, copywriter torinese, sembra cercare la stessa velocità, immediatezza e frammentarietà della musica di cui parla, senza mai perdersi in fronzoli descrittivi. E mentre si affretta a sottolineare che tutti i fatti narrati sono veri e realmente accaduti, nonostante sembrino usciti da un film americano, Bernelli non esita con la sua scrittura e con il distacco fornito dal tempo, a trasformare le peripezie di un gruppo di “sbandati” nel racconto di una avventura in qualche modo “leggendaria”.
Perché, in effetti, al di là della musica, di cui si parla quasi in ogni riga, il romanzo è prima di tutto la storia di una profonda amicizia, di ragazzi che oltre a condividere la passione per la musica, crescono insieme, guardano gli stessi film (Il cacciatore di Cimino, Un mercoledì da leoni di Milius e poi Lynch, Leone) e portano al collo una catenella con “una piastrina d’argento con inciso su un lato il nome del possessore, sull’altro la scritta Mucchio Selvaggio. La medaglietta ricalcava vagamente quella dei soldati americani in Vietnam.” Come l’irresistibile viaggio di quattro cow-boys negli sconfinati paesaggi western o il piano perfetto di un gruppo di rapinatori alle prese con l’ultimo colpo, il difficile è poi tornare a casa alla routine di sempre. |
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