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Intervista a Silvio Bernelli |
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Tommaso Giartosio, Rai Radio 3 - Fahrenheit, 29.08.2003 |
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(Giartosio)
E' abbastanza raro che Fahrenheit si occupi di libri autobiografici, e oggi è questo il caso. Parliamo di Silvio Bernelli, "I ragazzi del Mucchio", un libro pubblicato da Sironi, stavo per dire romanzo, ma romanzo autobiografico o proprio autobiografia? Bernelli lei cosa ne dice? Buongiorno.
(Bernelli)
Buongiorno a tutti. In effetti il confine nel caso del mio libro è un po' sottile. Possiamo dire che è un’autobiografia tanto quanto "il ritratto in uno specchio convesso" del Parmigianino è un autoritratto, nel senso che sicuramente c'è una distorsione, che è quella della creazione, mi permetto di dirlo"artistica". Di conseguenza è sicuramente più un romanzo che non un'autobiografia, anche se tutto ciò che racconta è vero.
(Giartosio)
Ecco, ciò che racconta, è l'epopea di un gruppo hard core punk realmente esistito, o meglio, di un gruppo di gruppi, dovrei direi, visto che il "Mucchio selvaggio" è un gruppo che raccoglie i Declino, i Negazione e ha rapporti con un terzo gruppo chiamato gli Indigesti.
(Bernelli)
Diciamo che questi, Declino e Negazione, sono due gruppi hard core punk della metà anni ‘80 in Italia, che sono i ragazzi, i cosiddetti "ragazzi del Mucchio", più qualche loro amico che non suonava, ma che faceva parte sotto tutti gli aspetti di questa congrega di musicisti. Gli Indigesti sono l'altro gruppo in cui io ho suonato il basso per alcuni anni e che di conseguenza sono diventati un po' dei cugini dei ragazzi del Mucchio.
(Giartosio)
Ecco, penso che sia corretto quello che lei diceva, che questo è un testo autobiografico che però in qualche modo scivola verso il romanzo. Non è la tipica autobiografia della rock star, o in questo caso della hard core punk star…
(Bernelli)
- RISATA -
(Giartosio)
.. fatta a uso dei fans, perché contiene degli elementi forti di analisi psicologica, memoria privata, cioè è qualcosa di più di un libro di culto. E’ qualche cosa che vuole essere un'operazione letteraria. Senta, intanto, diamo un po' di polpa a questo libro. Va dai suoi quindici ai suoi ventidue anni, grossomodo.
(Bernelli)
Grossomodo, sì.
(Giartosio)
Che cosa è successo?
(Bernelli)
E’ successo che ho passato la "linea d'ombra", quella di Conrad, in un modo un po’ particolare. L'ho fatto io e questi miei amici di cui ho voluto raccontare le gesta, che, in una città molto difficile, molto triste, molto dura, com'era la Torino dei primissimi anni ‘80, questi ragazzi avevano un sogno particolare, che era quello di diventare dei musicisti hard core punk e, in qualche modo di essere liberi, lo dico così, in soldoni, tanto per capirci, e quindi in questi sei/sette anni, io assieme a questi amici ho vissuto questa avventura. Siamo andati alla ricerca di questa libertà, siamo andati alla ricerca di questa forma d'espressione che avevamo scelto, e abbiamo passato anni meravigliosi, in giro per il mondo in tanti paesi diversi, avendo a che fare con persone fantastiche, con situazioni spesso al limite dell’incredibile. Infatti, sotto questo punto di vista non era proprio necessario inventare nulla, perché la realtà vissuta dai ragazzi del Mucchio negli anni 80 è stata talmente superiore a qualunque tipo di invenzione letteraria che, francamente non ce n'era proprio bisogno. E quindi sono stati questi sei/sette anni vissuti da adolescenti con il piede pigiato sull'acceleratore.
(Giartosio)
Quindi, 1980 -87, hard core punk torinese, io sarei molto curioso di sapere se c'è qualcuno degli ascoltatori di Fahrenheit che ha dei ricordi o delle cose da raccontare che in qualche modo si inseriscano, si insinuino, in questa storia che racconta Bernelli. Quindi ricordo ancora l'indirizzo di posta elettronica di Fahrenheit, fare con l'h al centro, chiocciola, rai, punto it. Se c'è qualcuno che pensa di poter giustapporre o addirittura intrecciare i suoi ricordi a quelli di Bernelli ci scriva senz'altro e cercheremo di leggere quello che ci dice. Bernelli, nonostante l'immagine dei punk come lo stereotipo del punk, come figure trasgressive, ai margini, eccetera, il gruppo che lei racconta in questo libro sembra abbastanza formato da bravi ragazzi.
(Bernelli)
Intanto bisogna fare secondo me una distinzione molto importante. Punk è quella roba che è passata alla storia già all'inizio degli anni '80, e quindi è un'esperienza più legata alla fine degli anni '70, e soprattutto è anche un'esperienza che è stata molto raccontata, anche molto travisata, sia dal cinema, sia da certa stampa, che aveva bisogno in qualche modo di un fenomeno che fosse abbastanza nichilista da guadagnarsi le prime pagine dei giornali. Invece, i gruppi di cui si parla nei "ragazzi del Mucchio", sono gruppi hard core punk, che è, come dire, una generazione che viene subito dopo che però, pur avendo molti tratti in comune è fondamentalmente diversa, sia sul piano della coscienza politica e sociale, e sia sul piano dell'approccio che si aveva, e che nel mio caso ancora si ha, alla vita. Per cui, parliamo di hard core punk.
(Giartosio)
Per quanto riguarda la coscienza politica e sociale, qual è la differenza?
(Bernelli)
Intanto che non c’era autodistruttività, questi gruppi avevano intenzione di costruirsi un mondo che fosse tutto loro, e di conseguenza, questi gruppi e molti altri, perché il fenomeno dell'hard core punk ha coinvolto io credo qualche decina di migliaia di persone in Italia e qualche milione nel mondo, tutti contemporaneamente, questa è anche una particolarità di questo fenomeno. Ma come ho cercato di raccontare in questo libro, c'era un po' il desiderio di fare tutto da sé, e quindi anche di disegnarsi le copertine dei dischi e di produrli. E alla fine questa operazione, questo tentativo ha funzionato, perché quei gruppi di cui si parla nel libro hanno fatto dei dischi che sono rimasti. A me è capitata, lo racconto come aneddoto, una cosa successa recentemente. Alcuni mesi fa è uscita una guida con i migliori cento dischi del rock italiano, dove c'è la PFM piuttosto che Lucio Battisti, ecco, lì in mezzo c'è anche il primo disco degli Indigesti e il primo disco dei Nagazione.
(Giartosio)
Beh, è una bella soddisfazione…
(Bernelli)
Soprattutto se pensiamo che sono dischi che sono stati fatti veramente "home brew", cioè fatti in casa, sia per quanto riguarda il reperimento del budget che la distribuzione. E quindi diciamo che è questa forse, a distanza di tanti anni, la cosa che più rimane, ed è per questo che come esperienza la trovo molto distante da quella del punk che è passato alla storia.
(Giartosio)
Questo sicuramente è la cosa più importante; i dischi, ciò che effettivamente si deposita e rimane a disposizione e viene ancora ascoltato. Ma c'è comunque una differenza, ho avuto l'impressione almeno, di stile e di comportamento, fra questi ragazzi italiani che si fanno queste lunghe tournee, anche magari con qualche eccesso, però sostanzialmente, vivono a casa con i genitori, si vestono in modo abbastanza consueto e magari i loro corrispettivi, i loro omologhi stranieri?
(Bernelli)
E’ possibile che sia così, io credo che anche questo sia successo perché l'Italia degli anni ‘80 non era gli Stati Uniti degli anni ‘80, non era la Germania degli anni ‘80, non era l' Olanda degli anni ‘80, e ho citato tutti paesi che noi abbiamo visitato di persona, e di conseguenza, può essere che quella fosse in qualche modo una fase di attraversamento, fosse un tipo di giovinezza che stava per diventare il tipo di giovinezza che poi è diventato oggi. Voglio spiegare questa cosa con un semplice esempio. Quando i ragazzi del Mucchio suonavano, i giovani “alternativi" erano uno su diecimila, oggi sono uno su dieci, e di conseguenza, in qualche modo, hanno raggiunto se vogliamo anche una sorta di maggioranza relativa.
(Giartosio)
Ma quando lei ripensa agli anni ‘80, come sicuramente, come di fatto ha fatto nello scrivere questo libro, quali sono i libri che pensa per associazione, come i libri che hanno meglio descritto quegli anni?
(Bernelli)
Credo che ci siano alcuni libri che sono dei libri di genere, che però hanno raccontato secondo me bene, in alcuni aspetti questi anni ‘80. Altri sono usciti magari sul finire degli anni ‘80 oppure un po' dopo, sono dei libri di autori italiani che però negli anni ‘80 sono cresciuti, e che di conseguenza magari qualche anno dopo hanno raccontato alcune di quelle esperienze. Io vorrei citare molto brevemente, ad esempio Dario Voltolini, uno scrittore di Torino, oppure Giulio Mozzi. Se poi invece la sua domanda si va più a posizionare, come dire, su chi abbia raccontato gli anni ‘80 in Italia, io credo che ciascuno abbia raccontato gli anni ‘80 che ha visto. E questa è secondo me una cosa molto interessante, perché gli anni ‘80 sono stati raccontati dalla stessa generazione che, come mi è capitato di scrivere, è passata direttamente dalle riunioni di autocoscienza a piedi scalzi ai Consigli di Amministrazione dei grandi giornali, e di conseguenza, secondo me, l'immagine che ne viene fuori oggi, a distanza di anni, è un’immagine un po' falsata. Nel senso che negli anni ‘80 ci sono state anche cose buone, e anche molte avventure interessanti, e bastava avere il desiderio di andarsele e cercare per trovarle.
(Giartosio)
Comunque, mi sembra che sia in corso una riscoperta degli anni ‘80, anche musicalmente.
(Bernelli)
Gli anni ‘80 diciamo che adesso possono diventare glamour, perché nel circo infinito del ripescaggio, adesso un po' tocca a loro…
(Giartosio)
Tutto torna.
(Bernelli)
Io credo che siamo già verso la fine degli anni ‘80, come ripescaggio, per il resto speriamo di no. Nel senso che l'Italia degli ‘80 non è un paese di cui ho grandissima nostalgia, devo dire.
(Giartosio)
E comunque, ecco, vorrei anche dire che questo è sicuramente un libro generazionale, che farà piacere leggere alle persone che hanno vissuto quegli anni. Io, per esempio, la descrizione del volo in USA via Jugoslavia, mi è andata direttamente al cuore perché ricordo perfettamente quelle linee aeree…
(Bernelli)
L'ha fatto anche lei?
(Giartosio)
Si, su quelle linee aeree scassate… E’ una storia di amicizia maschile, insomma, è un libro su cui c'è molto da dire. Torneremo a parlarne tra poco con Silvio Bernelli, “I ragazzi del Mucchio", pubblicato da Sironi, adesso ci dirigiamo verso la consueta pausa di Fahrenheit per lasciare spazio al segnale orario e al giornale radio.
(…).
(…)
Torniamo subito da Silvio Bernelli per parlare del suo libro. Bernelli, le e-mail cominciano a fioccare qui.
(Bernelli)
Bene, bene.
(Giartosio)
Per esempio, ci scrive Angelo. "Silvio Bernelli scrive che spesso non ci si rende conto di quanto le proprie azioni possano influenzare persone che non si conoscono. Ha ragione. Nel profondo Sud Italia attraverso canali alternativi esteri e da amici figli di parenti immigrati in Germania o in Svizzera, ci arrivavano le cassette di gruppi per noi incredibili, che rompevano gli schemi, e la cosa più incredibile era che loro fossero italiani, di Torino. Torino era l'unica realtà alternativa in Italia per la musica, e intanto a noi ragazzi più piccoli ci veniva presentato un modo di vivere diverso. Il Mucchio non fu solo un fenomeno musicale, fu un senso di libertà prima sconosciuto. Caro Silvio, siamo un bel po', credo, ad essere stati cambiati dalla vostra musica."
L'ho letta per intero perché è una mail molto bella…
(Bernelli)
Molto toccante.
(Giartosio)
Sì, e invece un altro ascoltatore, Antonio, più rapidamente ci scrive: “I miei anni ‘80 sono stati i CCCP, fedeli alla linea, e la militanza nel PCI quando nessuno pensava alla politica.” La politica era una realtà diciamo molto presente nel movimento, nei gruppi punk di fine anni ’70 e poi, pian piano, è stata meno presente nel corso degli anni ‘80?
(Bernelli)
Guardi, il discorso della politica è una cosa molto, molto complicata, legata a questo tipo di musica. Ecco, adesso non vorrei cavarmela con una battuta, però io credo che francamente, una cosa che bisogna ricordare oggi quando si ricordano queste cose, quando se ne parla, è quali erano gli anni in sono accadute queste cose, e anche, e secondo me è una cosa molto importante, da non dimenticare, è il fatto che i protagonisti, i musicisti di questi gruppi fossero molto giovani. Detto questo, la politica era una cosa molto importante, per cui, per quello che riguardava più strettamente me e i gruppi di amici miei di cui abbiamo parlato prima, si era scelta questa linea, che era quella dell’autogestione, quella dell’autoproduzione dei dischi quando possibile. Era un po’ un’idea di libertà assoluta. Infatti nel mio libro ho cercato di raccontare quali sono state le avventure che sono venute fuori inseguendo questo tipo di libertà.
(Giartosio)
Ripetiamo allora il titolo del libro, visto che stiamo tornando a parlarne dopo il nostro intervallo. Silvio Bernelli, “I ragazzi del Mucchio”, pubblicato da Sironi. Ecco, quando all’improvviso avete cominciato ad aver a che fare con promozioni, vendite, diritti, ci saranno stati discussioni, dubbi. Alcuni sono riportati nel libro. Come ve la siete cavata? Come avete deciso di impostare concretamente il vostro modo di vivere, diciamo, la realtà economica della vostra musica?
(Bernelli)
In realtà, sia il Declino, sia gli Indigesti, e per lungo tempo anche i Negazione, che sono un altro gruppo di cui si parla nel libro, sono stati, come dire, totalmente fuori dal business. Nel senso che, suonare in locali occupati, oppure autogestiti, non dava alcun tipo di compenso economico, molto spesso neanche il rimborso spese. Di conseguenza, i pochissimi soldi che si facevano con i dischi, venivano reinvestiti nel gruppo. Quindi si trattava sempre di un’economia veramente risibile…
(Giartosio)
Di sussistenza…
(Bernelli)
Molto di sussistenza, soprattutto se confrontata con quello che succede oggi, ma d’altronde, come c’è scritto chiaro nell’incipit del libro, a nessuno di quei gruppi lì interessava di diventare né ricchi, né famosi. Ricchi sicuramente nessuno lo è diventato, famosi, invece, in certi ambiti e in certi ambienti sì. Tra l’altro, molto più di quanto le persone che non sanno nulla di queste cose possano pensare, perché, comunque, se vogliamo parlare di copie vendute, quei gruppi lì hanno venduto parecchio, per l’epoca. Il problema è che noi non lo sapevamo, non ce ne rendevamo assolutamente conto. Ce ne siamo resi conto poi crescendo, quando saltava fuori questa storia di essere stato un musicista che molte persone non conoscevano, ma che le poche che conoscevano ritenevano fosse una specie di Batman.
(Giartosio)
- RISATA-
(Bernelli)
Sì, e quindi, ecco diciamo che l’economia era un po’ di quel tipo lì.
(Giartosio)
Devo dire che è impressionante vedere, io non sono un esperto di hard core punk, ma vedere il passaggio dalla scena torinese, alla scena italiana, a una scena europea fino alle ultime pagine in cui addirittura si prospetta la possibilità di fare tournee in Giappone o in Australia, c’è uno sviluppo del movimento impressionante, probabilmente colto molto di più all’estero che non in Italia.
(Bernelli)
Questo sicuramente, infatti, non a caso, lunghe pagine del libro le ho dedicate al tour negli Stati Uniti degli Indigesti, che è stato un tour vero e proprio, come ricordo sempre, ventidue o ventitre concerti da una costa all’altra. Quindi sicuramente una grandissima avventura che di solito un gruppo italiano non osa neanche sognare, però è un po’ proprio questo, secondo me, il punto del libro, cioè il coraggio di sognare, e subito dopo il coraggio di osare, cioè di pensare che qualunque cosa in fondo sia possibile. Se si ha un minimo di talento, e veramente tanta voglia di fare e pochissimo desiderio di arrendersi, si può fare anche questo, si può fare un tour americano. E’ un’esperienza che è capitata a me, poi è capitata qualche tempo dopo anche ai Negazione, è capitata ad altri gruppi che nel libro vengono citati giusto di passata, che sono i CCM e i Raw Power, però questi quattro gruppi hard core italiani sono andati a suonare negli Stati Uniti. E in effetti, alla fine della carriera, carriera, anche questo è un termine che all’epoca non si usava assolutamente, che però oggi usiamo per farci capire, c’era questa possibilità di arrivare in Australia e in Giappone. Noi non abbiamo avuto tempo di farlo, però in fondo non era impossibile.
(Giartosio)
Senta, Silvio, ma com’è l’esperienza del concerto, stare sul palco. Controllo o si cede il controllo, a un certo punto?
(Bernelli)
Senza controllo non si va da nessuna parte, soprattutto quando si sale su un palco e si suona davanti a seicento punk riottosi, che non sono precisamente le atmosfere di concerto classiche a cui uno è abituato. Io posso dire che, nei miei ricordi, ho immagini di cani che irrompono sul palco, di gente che ti cade addosso mentre suoni, e di qualcuno che ti strappa le corde, un altro ti fa lo sgambetto, quindi erano situazioni veramente molto difficili. Quindi il controllo era assoluto. In realtà bisognava imparare a far “implodere” la potenza, che è quella che si porta sul palco e si suona in giro per il mondo.
(Giartosio)
C’è una scena divertentissima nel libro in cui andate a suonare subito dopo un altro gruppo che ha gettato farina sul pubblico, per cui, i punk… Come li descrive lei?
(Bernelli)
Mi pare che fossero “comparse in un film horror di serie B”. Questo accadde ai Negazione a Barcellona, io ero lì con loro, e quindi c’era questa scena veramente surreale di questo locale riempito di farina con tutto il pubblico, queste cinquecento o seicento persone, imbiancate da capo a piedi. Era veramente un’immagine straordinaria.
(Giartosio)
Splendida, senta, il libro inizia con i punk, diciamo vecchio stile, i punk fine anni 70, che pian piano vengono emarginati. Alla fine invece vediamo i gruppi hard core che in qualche modo vengono superati dal Metal e dall’Hip-hop. Ma questo ricambio generazionale, come lei lo chiama, non è un po’ crudele?
(Bernelli)
Fa parte delle regole del gioco.
(Giartosio)
Ed è facile da accettare?
(Bernelli)
Non lo so, guardi, io devo dire che per quanto riguarda la mia esperienza musicale non ho mai pensato che questa sia finita perché è arrivato qualcuno che era più bravo di me. Semplicemente, ci sono delle stagioni, delle epoche, che è giusto si succedano le une alle altre. Ma questo credo che sia legato sia al mondo della musica, ma a qualunque tipo di mondo. Pensiamo alla letteratura, pensiamo al cinema, pensiamo a qualunque tipo di espressione.
(Giartosio)
Però la sensazione è che le cose cambino più rapidamente in questo libro. Ogni tanto uno dei personaggi, li chiamo personaggi ma ovviamente sono persone reali, si avvicina, o interviene, e a un certo punto e dice: “Qua sta cambiando tutto, ragazzi, dobbiamo muoverci, e dobbiamo “appizzare” le orecchie, sentire quello che sta accadendo negli ambienti musicali, nel contesto musicale anche internazionale, perché le cose stanno cambiando e rischiamo di rimanere indietro.”
(Bernelli)
Sì, può essere che ci sia questa particolare velocità, ma io credo che sia più legata al fatto che questi ambienti sono di solito ambienti molto giovani, poi, nel caso dei ragazzi del Mucchio sono ambienti addirittura giovanissimi, no? Perché, come ho amato ricordare in questo libro, quando gli Indigesti partono per fare il tour negli Stati Uniti avevano un batterista che non aveva neanche ancora compiuto diciassette anni, e, come dire, la straordinarietà e la rapidità dei cambiamenti di scena è anche legata secondo me alla giovane età dei protagonisti che poi, come ricordava lei, sono persone in carne e ossa.
(Giartosio)
Ma a lei manca un po’ l’esperienza della band, del concerto, del viaggio?
(Bernelli)
L’esperienza della band e del concerto francamente no. Io credo di aver dato quello che potevo dare, credo di aver fatto, non so quanti concerti, credo un po’ più di centocinquanta o giù di lì, di questi la stragrande maggioranza sono stati fatti lontano da casa, e di conseguenza non mi manca affatto. Mi può magari qualche volta mancare il mondo che ci stava intorno che, tra l’altro era anche un mondo molto interessante, “pieno di sfide”, magari, ma anche molto facile da vivere per una persona di diciotto, diciannove anni come ero io, no?Perché crescere ed essere un musicista diciamo noto in certi ambienti, quando hai vent’anni, be’, è una cosa molto bella, e anche molto difficile, nel senso che poi si impiegano alcuni anni successivi della propria vita a gestire questa eredità, che diventa un po’ anche un’eredità difficile, se vogliamo.
(Giartosio)
Senta, però noi parliamo di questo libro, rischiamo di dimenticare il fatto che è stato scritto. Come è stato questo lavoro di scrittura? Succede sempre con le autobiografie. Uno si concentra sui contenuti e dimentica tutto il processo di elaborazione.
(Bernelli)
Be’, è stato scritto, perché la cosa più importante era che venisse fuori un libro che chiunque potesse leggere. Proprio perché quando ho fatto musica ho fatto una musica che solo pochissimi potevano apprezzare, cioè solo le persone molto appassionate a questa cosa, con il libro volevo fare esattamente il contrario. Per quello che riguarda il momento della scrittura è stata una grandissima avventura personale, una grande avventura umana, un grande viaggio alla ricerca del ragazzo che sono stato. L’incontro tra lo scrittore di oggi e il ragazzo che sono stato ha creato questo scarto, no, che è la letteratura. Che è, credo, quello che c’è nella voce narrante del libro, che non sono io. La voce narrante del mio libro è un’invenzione letteraria, che ha deciso di raccontare con grane ironia, credo, e con molta voglia di mettersi in gioco
un’avventura umana con pochi eguali.
(Giartosio)
C’stato molto editing, oppure ha lavorato sostanzialmente da solo?
(Bernelli)
No, il libro è stato completamente scritto da me. Devo dire che nella prima versione era lungo quasi il doppio, poi ho deciso pian piano di tagliarlo qua e là. Il lavoro di editing è stato assolutamente ininfluente, nel senso che posso dire che il libro è assolutamente…
(Giartosio)
Assolutamente suo.
(Bernelli)
Mio, sì, certo.
(Giartosio)
Ed è un libro cui veramente penso si consegni un’esperienza forte, quindi, per coloro che si chiedono di cosa stiamo parlando, che magari si sono appena collegati, Silvio Bernelli, “I ragazzi del Mucchio”, Sironi Editore. Grazie Bernelli. |
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