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“Così ti ricordi di me”, romanzo di Nicola Gardini
Pier Paolo Giannubilo, Il quotidiano della cultura, 02.06.2003
Storia di un bambino solo, in un Molise duro, primordiale, non nostalgico e non consolatorio
Un bambino. Un paese: Ponte Nero, che cela un’assonanza con Montenero, sulla costa molisana. Il ritorno di una giovane madre dall’America dopo la separazione dal marito e soprattutto dopo la morte del padre che la violentò da ragazza. Un abbandono, che dura un’estate. Una donna che si allontana e lascia suo figlio proprio lì, fra quelle quattro case di un paese periferico, in una realtà sconosciuta. Siamo negli anni ’70: il boom economico è terminato e la modernità si mescola, a volte semplicemente si giustappone, alla chiusura arcaica della nostra cultura meridionale. Ma attenzione. Storia, emigrazione e società, in questo coinvolgente romanzo breve di Nicola Gardini, “Così ti ricordi di me” (Sironi editore, Milano, 2003, euro 11,50), sono categorie che all’autore interessano poco. La sostanza del libro è altrove: nella carica crudele e spiazzante dei simboli, nella forza drammatica dei sentimenti primordiali come la paura, la cattiveria, l’egoismo, oltre che nella vicenda di iniziazione ai sensi e al mondo del piccolo protagonista, Oreste. Gardini, trentasettenne nato in Molise e trapiantato in tenera età a Milano, insegna Letteratura comparata a Palermo. E’ condirettore del mensile “Poesia”, fra le riviste letterarie più autorevoli d’Europa, e autore di raccolte di versi, saggi su diverse letterature ed edizioni di poeti classici e moderni (Ovidio, Auden, Dickinson, Hughes) per le maggiori case editrici italiane. “Volevo scrivere una storia sulla comprensione delle cose, - ci spiega – sul modo in cui le cose si rivelano a noi, prima ancora che possiamo darne o rendercene conto. Tutti viviamo continuamente investiti dalle cose, cioè dalle storie, dai sentimenti altrui, dalle notizie….Tutti non facciamo che “scoprire”, anche se, per l’esistenza che conduciamo, il più delle volte di questo ci dimentichiamo e del mondo non cogliamo gli insegnamenti, anche dolorosi, ma ci limitiamo a esprimere giudizi… Ecco, volevo scrivere una storia che non partisse da alcun giudizio sulla realtà, una storia “primordiale”, “mitica”, se vogliamo. Il Molise dove sono nato e ho passato i primi anni di vita, oltre che molte estati, si è imposto alla mia immaginazione come il luogo adatto al racconto che volevo fare. In “Così ti ricordi di me” il Molise, con il suo sole, la sua sete estiva, è terra di rivelazioni, di apparizioni, di desideri…Non è un Molise della memoria. E’ vero che ci ho messo molti ricordi personali, ma non ho minimamente inteso farne una terra della nostalgia o del rimpianto”. E’ questa la differenza sostanziale del romanzo di Gardini rispetto al panorama cui siamo abituati. Non c’è nulla di oleografico in queste pagine. Il realismo di Gardini – che usa un registro quotidiano, semplice, frutto della contaminazione fra l’italiano, l’angloamericano e un dialetto di grande comunicatività, riprodotto così come “suona”, senza applicazioni filologiche maniacali – fa piazza pulita della retorica “paesana” di matrice neorealista e immerge il lettore nella carne e nel sangue di una fiaba a tratti nera. Senza buonismo. Senza prospettive consolatorie e miti sulla solidarietà e la coralità meridionale, ma anche senza moralismi e commenti. Rosaria, Lia e Meri (madre, zia e cugina adolescente: un triangolo affettivo tutto al femminile entro cui il bambino sviluppa una sessualità all’insegna dell’ambiguità) hanno una onomastica solare, da Sud, che non deve trarre in inganno. Nessuna prospettiva meridionalistica. Attraverso gli occhi di Oreste (evidente il richiamo all’innocente/colpevole della tradizione classica: anche per il bambino, come per il giovane matricida greco, il finale della storia apre le porte di una nuova vita) guardiamo a Ponte Nero come alla cornice naturale di un piccolo viaggio nei labirinti dell’infanzia. Tradito e lasciato solo, anche se soltanto per tre mesi, Oreste scopre e registra: la paura dei morti e dei vivi, le leggende popolari e i meccanismi di esclusione azionati da quelli che lo circondano. Pur respinto, prova a stabilire relazioni con gli sconosciuti per sostituire l’insostenibile: la madre. Fanno da sfondo anche le credenze magiche che ancora sopravvivono nei nostri paesi e gli aspetti spesso taciuti dagli scittori attenti a riprodurre sempre un quadretto idillico del Molise. Come la realtà paesana dell’incesto (su cui si deve tacere per ragioni di familismo), o il singolare atteggiamento (ferino, aggressivo, omertoso e bigotto insieme) delle anziane meridionali rispetto al sesso. Gardini ci racconta di cani che si addormentano ascoltando “L’importante è finire” di Mina (il brano è il leitmotiv del racconto), come in una favola. Ma poi ci immerge nella dolorosa solitudine dei bambini, fatta di incomunicabilità familiare e persecuzioni scatenate dai coetanei a danno dei più deboli. Il protagonista alterna passività e reazioni dalla furia distruttiva, tipiche della sua età. Ma un po’ tutto il libro è giocato sulle opposizioni, oltre che sul tema del desiderio: ricerca del calore umano e fioritura dei sensi. Da questo ultimo punto di vista, figura centrale, con quella del bambino, è Meri. Nella cugina sedicenne che legge ammicanti fotoromanzi “Lanciostory” e li nascode sotto il materasso, che si mette in tiro per la passeggiata serale sul corso, che non resiste alla propria sensualità e finisce incinta, che si affaccia nuda alla finestra di domenica mattina, fresca, spavalda, col “petto grosso e duro”, troviamo un’intera generazione femminile, oltre che un personaggio magistralmente dipinto con poche, efficaci pennellate. Quella generazione dell’Italia non metropolitana che nei cromosomi restava legata alla fierezza e all’istintività di padri e madri, ma era già completamente immersa nella nuova realtà italiana di quegli anni. Ci sono anche le parole di un personaggio di Ponte Nero che nel libro, ambientato trent’anni fa, osserva: “Queste case sono vecchie, stanno scivolando verso la scarpata. Gli ulivi le tengono ancora ferme, ma un giorno o l’altro dovranno crollare”. Profezia involontaria ma terribile, viste le ultime sciagure della regione, dovute alla sua scarsa lucidità in tema ambientale. Certo, per l’autore il Molise è stato un pretesto, un simbolo. Ma a volte capita che per dire cose assennate sul Molise, bisogna programmaticamente non intendere parlarne, come ha fatto Gardini.
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