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Maria Vittoria Vittori, L’Indice dei libri del mese, 01.12.2002
Alberto Garlini, Una timida santità
La foto di copertina e il titolo di questo romanzo sono quanto di più lontano si possa immaginare dalle accativanti trovate con cui oggi si allestisce e confeziona un libro. Niente immagini bizzarre o cromatismi violenti: la foto di un balconcino grigio e scrostato con una tendina fermata da un lato introduce a Una timida santità. E già in questa essenziale presentazione c’è molto dello spirito della storia. Una storia fatta di dettagli, ma non realistica; di piccole cose, ma non piccola; che pur aprendosi nel segno di una morte, non è affatto luttuosa. La voce narrante è quella del trentenne Alberto: assiste la nonna che in seguito ad un primo ictus ha perso, anche se parzialmente, l’autonomia e la lucidità. Dopo un ricovero in ospedale e un rapido peggioramento la nonna muore; dopo il funerale, Alberto che aveva deciso di ritornare subito a casa sua in un paese del Friuli, si fa convincere a restare nella casa di sua nonna, a Parma, dal muto richiamo degli oggetti che vogliono compagnia. Da questa doppia permanenza – sua in quella casa; di sua nonna nel ricordo – prende vita un ritratto che non è solo di una creatura ma anche del mondo che in lei si concentrava. Sono le cose che si assumono l’incarico di parlare per conto di Tina, le cose che le sono state vicine fino all’ultimo: la macchinetta per il caffè “Cappuccina” che era il suo vanto, conquistata con la raccolta punti, la scodella dove aveva mangiato una papera gialla vinta dal nipote a una festa popolare, la collezione di sei cucchiaini d’argento provenienti da diverse città che rappresentano “tutto il mondo che non ha visto, tutte le città che non ha sfiorato”. Se durante la permanenza in ospedale la sofferenza più grande, per Alberto, era stata vedere la nonna gravemente colpita nella sua sostanza umana, vedere che la morte s’era infiltrata in lei al punto da svilire a materia ciò che non era ancora materia, ora, durante la permanenza nella sua casa, la consolazione più forte è constatare quanto di quella creatura mite, silenziosa, che viveva nel mondo come un’ospite, sia rimasto nelle cose, negli uccellini che continuano a cercarla sul balcone, perfino nelle mura di quelle stanze. Ed è il suo spirito lieve, di umile intensa poesia, ciò che rende questo romanzo indimenticabile.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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