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Costruire un'arma di sterminio grazie a Internet. Sembra facile… |
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Nico Pitrelli, L'Unità, 16.06.2003 |
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Si sente dire spesso che basta un ricettario scaricato dalla Rete e uno scantinato per diventare un bioterrorista fai da te. Gli autori del libro "Armageddon Supermarket" hanno fatto un esperimento... |
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Il 2 giugno scorso, nel corso dell'usuale parata militare ai fori imperiali di Roma in occasione della Festa della Repubblica, c'era un gruppo che sfilava con tute bianche e maschere antigas: erano i membri di un corso speciale che dovrebbero agire in caso di attacchi nucleari o bioterroristici in Italia. Nelle stesse ore il Segretario di stato americano Colin Powell, in visita nella capitale italiana, in una conferenza stampa ribadiva che il motivo ufficiale della guerra a Saddam Hussein era la presenza sul territorio irakeno di armi di distruzione di massa. Per caso nello stesso giorno, in due importanti contesti istituzionali, sono risuonati pertanto i sinistri riferimenti a gas nervini, antrace e batteri mortali, quasi a voler rendere in un colpo solo l'immagine di un paese in cui, al pari di tante altre nazioni del mondo occidentale e degli Stati Uniti in primo luogo, la possibilità di attacchi terroristici con armi non convenzionali è percepita ormai come una minaccia concreta.
Basterebbe questo per affermare che il libro "Armageddon Supermarket. Le armi di distruzione di massa nella società della paura", pubblicato il mese scorso per i tipi della Sironi Editori, è decisamente attuale. Si potrebbe anzi dire che il tema di questo libro è prevedibile, facile a confondersi fra le tante pubblicazioni che sono uscite e usciranno sull'argomento, se non fosse che la tesi sostenuta in questo lavoro non è sicuramente ordinaria: mettere le mani su un'arma di sterminio non è niente affatto facile come hanno cercato di farci credere.
I due autori, Paola Coppola e Giancarlo Sturloni, compiono un percorso a metà tra l'inchiesta giornalistica e un esperimento che, se riuscisse, rinforzerebbe definitivamente i timori di coloro che vedono in Internet uno strumento incontrollabile e pericoloso: quello di costruire o acquistare un'arma non convenzionale sfruttando informazioni prese in rete.
In realtà, i due, mettendosi dalla parte di un qualunque utente curioso e preoccupato, e fornendo allo stesso tempo una puntuale disamina storica di documenti, dichiarazioni e risoluzioni ufficiali sulle armi di distruzione di massa prodotti negli ultimi anni, fanno qualcosa di più: vanno alla ricerca dei tasselli che compongono la "società della paura". Una società in cui il nemico non ha volto, è imprevedibile e soprattutto potrebbe essere chiunque visto che, sostengono le numerose e funeree cassandre del futuro prossimo venturo, basta un ricettario scaricato dalla rete, uno scantinato, una vasca da bagno e l'arma, chimica, biologica o nucleare che dir si voglia, è pronta all'uso.
Su questa traccia essenziale, nel libro di Coppola e Sturloni, si inseriscono una serie di sottotrame, di narrazioni popolate da piloti di elicotteri pronti a riversare chili di antrace su una delle maggiori metropoli del globo, di terroristi predestinati fin dalla loro infanzia a farsi esplodere con bombe alimentate da materiale radioattivo. Ma al centro della vicenda in realtà c'è una sola protagonista: la tecnoscienza, quel misto tra scienza e tecnologia in cui non solo non si riconosce più chiaramente la natura del rapporto che sussiste tra i due campi, ma di cui non si intravede ormai neanche in modo chiaro l'autonomia dal resto della società. Non a caso è ad essa, come mettono in evidenza Coppola e Sturloni, che attinge spesso l'immaginario collettivo per trovare ragioni e spiegazioni delle proprie paure. E paradossalmente nel timore che chiunque possa trovare gli ingredienti e le nozioni per costruire armi biologiche e chimiche, la tecnoscienza mostra la sua ormai decisiva presenza nella vita quotidiana come forse mai era accaduto in passato. Su questo aspetto "Armageddon Supermarket" mostra probabilmente il suo maggior punto di forza: nel mettersi dalla parte dei timori del pubblico pur giungendo a una conclusione che non mette affatto alla berlina la scienza e la tecnologia. Per scoprire che in fondo anche la paura può essere un affare, anche la paura può produrre dei profitti. |
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