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Meridione di paese |
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Giovanni Choukhadarian, Stilos, 01.04.2003 |
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Non c’è accusa più infamante: i romanzi italiani non raccontano l’Italia di oggi, l'Italia com’è e come tutti la vedono. Nemmeno Nicola Gardini lo fa e, sarà magari il tempo di scriverlo, e' meglio così. Non si capisce perchè debba toccare ai romanzi il compito dei quotidiani, dei settimanali, della televisione. In ogni caso, se è questo il problema, si tratta di questione vecchia, mal posta quando era nuova e oggi del tutto irrilevante. Gardini parla di un'Italia che c'è stata di sicuro, oggi non c’è quasi più e, se pure c’è ancora, ha cambiato aspetto.
È un meridione di paese, dove si mescola il dialetto con l'italiano, si leggono i fotoromanzi e si fa l'amore nella 850. In questa Italia, all'inizio degli anni Settanta, piomba da New York Oreste. Ha 8 anni, lo accompagna la madre separata che poi lo lascia alla famiglia per l'intera estate. Oreste scopre Ponte Nero, la nonna, le tombe di famiglia e soprattutto Meri, con la quale da subito stabilisce una relazione privilegiata. Meri è buona e cattiva, a volte gli dà retta, a volte va col fidanzato (ma lui, che ne è affascinato, la copre, per poi correre a cosa e tagliare a colpi di forbice il corredo). Meri è l’oggetto del desiderio di Oreste, ma è in realtà la metonimia del mondo nuovo che gli si schiude davanti per la durata di una sola estate e che lui guarda dal basso in alto. Agli occhi di Oreste, che guidano il lettore, tutto è da guardare, tutto è nuovo e perciò sconosciuto. È sconosciuta anche la lingua che parlano, uno strepitoso dialetto molisano che Gardini innesta con assoluta naturalezza in un tessuto linguistico che sembra congegnato per descrivere. La descrizione è quella di un senso imprecisato d'inappartenenza e del conseguente desiderio di fuggire, non si sa bene verso dove e per che cosa. Meri ha i fotoromanzi che nasconde, Oreste vuole tornare in America ma prima vorrebbe andare una volta in spiaggia con Meri (alla fine ce la farà), altri non hanno più niente e guardano Milleluci alla televisione. Questo è il romanzo di tante insoddisfazioni, che ha il coraggio di usare i timbri e i colori del melodramma. Più ancora, è il racconto di uno scontro fra civiltà, tra un moderno che non sa riconoscere le sue radici antiche eppure ne è attratto, senza che ci sia possibilità vera di conciliazione. Alla conclusione, che non può essere se non tragica, si ritorna al punto di partenza: L'importante è finire è, non per caso, la colonna sonora di questo libro carnale, appassionato e capace di appassionare. Nicola Gardini, di mestiere italianista, ha scritto un libro inattuale e fuori moda, fatto di sguardi e di immagini piuttosto che di parole. Un libro forte, anche se (forse proprio perché) non parla del qui e dell'ora. |
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